Nove condanne, da un minimo di due anni e sei mesi a 3 anni, per un totale di 23 anni di reclusione. Questa la richiesta della Procura di Varese nel processo per la morte di Silvano Dellea, il capo servizio della funivia di Monteviasco deceduto il 12 novembre del 2018 durante una attività di controllo sull’impianto.
Violazioni delle norme di sicurezza della funivia e dei lavoratori, e carenze in termini di preparazione ed esperienza da parte di chi si occupava della funivia. Questi i punti centrali dell’accusa, emersi dalla requisitoria del pubblico ministero.
Una requisitoria ampiamente dedicata al tema dell’assenza di un terrazzino fisso di protezione all’esterno della cabina su cui viaggiava Dellea il giorno dell’incidente. Il supporto, ha sottolineato il pm, era obbligatorio per legge, e a Monteviasco il giorno della tragedia era assente, così come non c’era una versione mobile, o comunque alternativa, al terrazzino, apparecchio che avrebbe potuto scongiurare l’incidente mortale, avvenuto – secondo la tesi accusatoria – anche a causa della presenza di una passerella all’esterno della stazione di valle. Lì Dellea fu ritrovato privo di vita, con la cassa toracica schiacciata e incastrato tra la cabina – all’esterno della quale viaggiava imbracato – e la passerella stessa: «Non autorizzata», ha aggiunto il pm.
Tra i nove imputati ci sono i consiglieri della cooperativa Ausuriv che all’epoca dei fatti gestiva l’impianto. Per l’accusa i consiglieri non possedevano competenze nella gestione degli impianti a fune: «Tanto che alcuni di loro durante il processo hanno affermato che si occupavano soltanto di promozione turistica del borgo».
Ma per la legge, ha specificato il magistrato, erano tutti “datori di lavoro”, e come tali responsabili dell’applicazione di norme riguardanti la sicurezza dei dipendenti della funivia – tra i quali figurava il Dellea – che in alcuni casi, viste le carenze della cooperativa, avevano provveduto autonomamente a comprare dispositivi di protezione individuale come scarpe anti infortunistiche e imbracatura.
Le presunte carenze dell’impianto sono contestate anche a figure tecniche: dipendenti di Ustif (l’allora ufficio locale del ministero dei Trasporti), il progettista della revisione generale della funivia e il direttore d’esercizio nominato dalla cooperativa: non hanno mai evidenziato l’assenza del terrazzino e l’interferenza della pedana alla stazione a valle, e non si sono attivati per correggere le criticità. Questa la tesi del pm.
«Dellea non si è suicidato e non era un pazzo – ha affermato l’avvocato luinese Corrado Viazzo, che insieme alla collega Vera Dall’Osto rappresenta i familiari della vittima, che si sono costituiti parte civile nel procedimento – Su quell’impianto non funzionava nulla».
Il legale, nella sua appassionata arringa, ha inoltre parlato di “approccio da dilettanti” nella gestione della funivia da parte della cooperativa Ausuriv, i cui membri a dibattimento «hanno detto che era il presidente ad occuparsi di tutto. Questa è un’aggravante, non una scusa. Stare in un consiglio di amministrazione comporta delle responsabilità».
Anche i tecnici imputati, per l’avvocato, devono essere considerati colpevoli, in particolare per non essersi accorti della pericolosità della passerella inserita alla stazione a valle, che avrebbe influito sull’incidente mortale. «Dellea era una brava persona, forse l’unica che teneva realmente a quella funivia», ha aggiunto in conclusione l’avvocato Dall’Osto. Ora la parola passerà alle difese.
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