È proseguito al tribunale di Cuneo il procedimento penale volto a far luce su presunte false attestazioni di presenze di migranti in alcuni CAS (centri di accoglienza straordinaria) in Granda che, invece, si trovavano in Liguria a svolgere alcuni lavori.
Al centro dell’inchiesta giudiziaria ci sono l’“Immacolata 1892 srl”, incaricata della gestione di altri sei centri nel cuneese: uno a Valdieri, tre a Ceva e due a Borgo San Dalmazzo; “La Casa dell’Immacolata srl” e “Il Tulipano". La prima, gestiva il CAS di Belvedere Langhe, la seconda i centri di Savigliano (Levaldigi), Bene Vagienna e Monterosso Grana.
Sotto accusa davanti al giudice Giovanni Mocci per caporalato e truffa si trovano i responsabili legali delle coop. G.B., per “l’Immacolata 1892 srl”; C.B. e G.M., quest’ultimo subentrato in un secondo momento come direttore per “Il Tulipano” ed E.A. per “La Casa dell’Immacolata”. La loro gestione da parte delle coop nasce in virtù dell’accordo quadro stipulato in fase emergenza migranti, che prevedeva erogazioni di fondi a favore di quest'ultime di 34,90 euro da parte della Prefettura per ciascun richiedente asilo ospitato.
Da qui l’accusa di truffa mossa dalla Procura, che sostiene che le coop avessero chiesto il doppio rimborso per ciascun migrante, dal momento che a Pietra Ligure sarebbero stati trovati i documenti per poterlo richiedere alla Prefettura savonese. Altra contestazione mossa agli imputati è quella di caporalato.
Nell’ultima udienza, a seguito delle dichiarazioni rilasciate da G.B., rappresentante legale per l' "Immacolata 1892 srl", è stato ascoltato E.A. per la “Casa dell’immacolata”. “In quel periodo c’era stata un’invasione - ha iniziato a spiegare l’imputato - oggi è niente in confronto. Ci è stato chiesto l’inserimento attraverso i comuni con i lavori socialmente utili e possibilmente di mettere i richiedenti asilo in condizione di trovare un posto di lavoro, togliendoli dai centri di assistenza”.
Quanto alla presenza dei migranti nei centri, era la Prefettura a imporre i controlli e gli aggiornamenti che venivano fatti quotidianamente: “La presenza - ha proseguito E.A. - implicava che per almeno un minuto al giorno la persona fosse stata nel CAS: paradossalmente, si sarebbe potuto firmare a mezzanotte e un minuto e tornare a mezzanotte del giorno dopo. Oltre le 72 ore di assenza fornivamo noi le autorizzazioni, oltre i cinque giorni se ne occupava la Prefettura. Il foglio firmato veniva fotografato dal centro. Il migrante attestato come presente dall’operatore del centro. Erano censite anche le presenze a pranzo e durante corsi”.
Quanto all’assenza dei migranti alla struttura di Montezemolo che, come descritto dalle autorità, sarebbe stata ‘inabitata da un lungo periodo’ con ‘luce disattivata’ e ‘gelida’, E.A. ha riferito che quel giorno c'era un'allerta meteo: “In quei giorni c’era emergenza neve, tant’è che non riuscimmo nemmeno a portare una mamma con due bambini a Belvedere Langhe. La prefettura ci autorizzò a tenere i profughi, provvisoriamente, in un alloggio di Borgo San Dalmazzo. Ma i migranti di Montezemolo non erano spariti, otto erano a Pietra Ligure per un corso di pulizia dei sentieri e un altro gruppo a Ceva a fare un corso di informatica”.
In Liguria i migranti erano ospiti in un fabbricato rurale di proprietà della società Albafin in cui E.A. aveva delle quote: “I ragazzi lavoravano alla sistemazione di sentieri aromatici che erano di proprietà comunale. Albafin non ha beneficiato del lavoro dei ragazzi in alcun modo. Ai ragazzi che avevano preso parte ai lavori abbiamo dato un premio di partecipazione, in aggiunta al pocket money. Penso che oltre il 90% di coloro che abbiamo ospitato oggi abbia un’occupazione”.
Alla prossima udienza si ascolteranno i testimoni della difesa.
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