Il Nazionale

Cronaca | 26 aprile 2023, 17:57

Guerra in Sudan, il racconto dei volontari di Music fo Peace: “Una situazione devastante” (Video)

I quattro volontari sono riusciti a tornare a Genova dopo un viaggio difficile con continue deviazioni per evitare gli scontri a fuoco

Guerra in Sudan, il racconto dei volontari di Music fo Peace: “Una situazione devastante” (Video)

I quattro volontari di Music for Peace sono riusciti a ritornare in Italia dal Sudan dove si sta consumando una sanguinosa guerra civile 

La città maggiormente colpita dagli scontri tra le fazioni è senza dubbio la capitale Khartoum dove si trovavano Stefano Rebora, presidente di Music for Peace, Pietro Biondi, project manager, Chiara Gardella, social media manager, Athos Rebora, volontario e Valentina Gallo Afflitto, executive manager della Ong.

Il Sudan è in una situazione devastante perché già prima riceveva tutti i migranti delle varie guerre - ci dice Stefano Rebora - Non dimentichiamo che il Sudan si trova tra Chad, Darfur, Repubblica Centrafricana, Sudan del Sud, Etiopia, Eritrea. Tutti scenari di guerra o scenari di conflitti appena conclusi. Il Sudan accoglieva i profughi da tutte queste nazioni, ecco perché adesso c’è un esodo delle persone che cercano di tornare nel paese di origine che ora considerano più sicuro rispetto al Sudan.

Il Sudan è passato da paese che accoglieva a paese da accogliere e adesso anche i sudanesi sono da accogliere. Spero davvero che il Sudan non venga abbandonato. La notizia non è che gli italiani rientrano, il mio timore è che venga abbandonato il popolo sudanese.

Tendiamo a dividere i migranti economici dai rifugiati politici a rifugiati da emergenze di guerra. Non esiste questa differenza, in teoria fino a 10 giorni fa il profugo sudanese era definito migrante economico. In pochi giorni invece è cambiato tutto. Non dimentichiamo che i curdi sono stati per un tot di tempo terroristi poi eroi perché ci hanno salvato da Saddam Hussein e poi di nuovo terroristi. Non possiamo classificare le persone al nostro modo di ragionare”.

Rebora racconta la difficoltà nel poter rientrare in Italia, il conflitto ha colto di sorpresa tutti: anche l’ambasciatore italiano, insieme ai quattro volontari, ha rischiato in prima persona per poter garantire il rientro in patria di tutti gli internazionali presenti nel paese africano. 

Per percorre 5 km ci abbiamo messo 2 ore e mezza - continua Rebora - La vera difficoltà consistenza nel navigare a vista. Nei giorni precedenti mi ero organizzato con una mappatura dei checkpoint ma, essendo una guerra atipica a macchia di leopardo, ogni zona era controllata da una milizia differente e durante il viaggio vedevi il conflitto a fuoco, dovevi cambiare repentinamente strada senza perdere il senso dell’orientamento. 

Nella normalità gli internazionali sono ben visti. In una situazione del genere però tutto diventa obiettivo. Per la tipologia di conflitto nato non c’erano zone sicure. Mentre durante le manifestazioni o le ribellioni della popolazione c’era una ‘zona safe’ che si trovava nel centro cittadino questa guerra ha invertito tutto: la zona solitamente più sicura è diventata la zona più insicura. L’area degli internazionali è diventata oggetto di conflitto perché ci sono i centri del potere dove un golpe che sta combattendo un altro golpe cerca di accaparrarsi.

Dobbiamo ringraziare l’ambasciata e l’unità di crisi perché ha fatto un ottimo lavoro di comunicazione al fine di evacuare tutti gli italiani. Michele Tommasi, l’ambasciatore, condivideva con noi tutti i pericoli. Basti pensare che quando eravamo in ambasciata si sparava tutto intorno a noi e questo ha reso ancor più difficile la fuga dalla residenza dell’ambasciatore per l’aeroporto”.

Marco Garibaldi

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