3 anni e 6 mesi e 2 anni di carcere. Queste le sentenze di condanna del giudice del Tribunale di Savona Fiorenza Giorgi nei confronti dei fratelli Pietro e Francesco Fotia per il reato di turbativa d'asta aggravata dal metodo mafioso.
I due ex imprenditori albenganesi, insieme al fratello Donato erano stati condannati nel 2020 a 3 anni e sei mesi per bancarotta fraudolenta per distrazione in relazione al fallimento della Scavo.Ter.
I tre, Donato, presidente del Cda e amministratore delegato, Pietro amministratore di fatto dell'azienda e Francesco consigliere del cda dal 2007 al 2015, avevano dovuto rispondere della contestazione per aver sottratto dal patrimonio sociale dell'azienda una cifra che si aggirava intorno ad un milione e 125mila euro. Secondo l'accusa la somma, corrispondente dei compensi per gli amministratori, sarebbe stata versata in assenza di una delibera assembleare di autorizzazione contribuendo a creare una situazione di dissesto nei conti dell'azienda che era stata poi dichiarata fallita nell'aprile 2016 dal tribunale di Savona.
Nel luglio del 2022 i poliziotti della Squadra Mobile della Questura di Savona avevano arrestato Pietro Fotia, accusandolo di turbata libertà degli incanti aggravata dal metodo mafioso. Era stata svolta una complessa attività d’indagine da parte della Squadra Mobile savonese coordinata dalla Procura Distrettuale Antimafia di Genova: l'arrestato avrebbe influenzato l’esito di una procedura immobiliare, evocando l’acquisita fama criminale di appartenenza ad una “famiglia”, contigua alla ‘ndrangheta, sfruttando cosi la forza di intimidazione che ne deriva.
Le articolate attività di approfondimento, svolte tramite servizi di pedinamento e osservazione, avevano consentito di ricostruire il modus operandi dell’arrestato nell’aggiudicarsi gli immobili in questione prevaricando tutti i possibili concorrenti.
Secondo la ricostruzione degli investigatori, le minacce volte ad escludere ogni possibilità di concorrenza dalle procedure pubbliche in parola venivano perpetrate fin dal momento delle visite dei potenziali offerenti, in particolare in uno degli immobili interessati dalla procedura di vendita all’asta erano stati preventivamente e surrettiziamente affissi articoli di giornale relativi a condanne, arresti e sequestri aventi come destinatari i membri della “famiglia” e locandine di un quotidiano che ne richiamavano le vicissitudini giudiziarie così da rendere ancor più esplicita la evocata contiguità all’organizzazione criminale.
L’indagato si era adoperato infatti per incutere tra gli altri partecipanti alle procedure d’asta, il timore di subire conseguenze se non si fossero fatti da parte, fotografando i presenti in maniera plateale, inducendo in loro la convinzione di poter essere identificati e rintracciati. Ostentava poi apertamente il suo ruolo dominante all’interno della “famiglia” d’origine, circostanza che trovava peraltro conferma nelle ricerche su internet che le stesse vittime si premuravano di svolgere.
Particolarmente d’effetto risultava anche il profilo dell’impunità di cui il soggetto si vantava affermando di avere subito oltre 50 processi ma di essere sempre stato assolto, così da lasciare intendere la sua condizione di intangibilità rispetto alla magistratura. Il metodo mafioso messo in atto consentiva di fare terra bruciata di tutti i possibili concorrenti influenzando l’andamento della procedura e garantendo a soggetti, persone fisiche e giuridiche riconducibili all’indagato, di aggiudicarsi in ultimo i beni immobili oggetto dell’asta.
Nel settembre dello stesso anno invece era stato arrestato il fratello Francesco, in esecuzione ad un ordine di carcerazione, in relazione alla pena di 2 anni e 6 mesi per una tentata estorsione avvenuta tra Montecarlo e Savona nel 2014. L'uomo, in concorso con altre due persone, aveva minacciato un altro cittadino italiano con il quale era in corso una procedura di risarcimento per un sinistro, al fine di ottenere, senza averne titolo, 50 mila euro, minacciando gravi conseguenze per la sua incolumità e per quella dei suoi familiari. L’arrestato, sottoposto alla misura dell’affidamento in prova ai servizi sociali, era stato recentemente coinvolto in un'altra indagine. Condizione che ha portato la Magistratura di Sorveglianza di Genova ad emettere il provvedimento restrittivo ritenendo non più idonea la misura dell’affidamento in prova.
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