Per tanti varesini, soprattutto sopra una certa età, la Pallacanestro Varese è quello che Nicola Di Bari in un pezzo degli anni ’70 ha teorizzato come “la prima cosa bella che ho avuto dalla vita”.
È affetto, oltre che passione. È famiglia, oltre che emozione. E identità, oltre che tifo.
E allora ci sono poche parole che si possono dire a una siffatta creatura in un momento di difficoltà. Parole semplici, che vanno al di là del merito, delle carte processuali, delle ricostruzioni giornalistiche, persino di un’eventuale colpa, disattenzione, sbaglio, chiamatelo come volete tanto non rileva. Tre parole: ti voglio bene.
Sempre.
È quello che oggi hanno gridato trecento, quattrocento biancorosso-vestiti fuori dal Lino Oldrini alla partenza della squadra allenata da Matt Brase per Trieste, dove domani giocherà la sua prima gara da neonata concorrente alla salvezza, da ultima in classifica, numericamente devastata dalla penalizzazione di 16 punti.
È stato un grido potente e delicato allo stesso tempo, un abbraccio commosso e vigoroso insieme, un piccolo momento di orgoglio identitario che ha avuto un solo e semplice sottotitolo: “con te nella buona e nella cattiva sorte”. Anzi, se cattiva, ti sono ancora più vicino.
Le prime persone hanno iniziato ad arrivare verso le 12.30 e sono cresciute fino alle 14, quando alla spicciolata hanno cominciato a uscire i primi giocatori, poco dopo l'arrivo della Curva con lo striscione "You never walk alone". Cori, pacche sulle spalle e “cinque alti” per tutti.
A colpire nel profondo attimi e reazioni. Michael Arcieri esce da solo poco prima degli altri e l’applauso che lo accoglie è di una serietà che mette i brividi. È la serietà di un grazie, ribadito poco dopo a tu per tu da un rappresentante degli Arditi: «Grazie per tutto quello che ha fatto per noi, grazie per avere costruito questa squadra». Mike incassa, visibilmente emozionato, di quelle emozioni che nella vita costituiscono - anche qui - una prima volta.
C’è Max Ferraiuolo, che abbraccia sua figlia Martina e sua nipote Mia. E si commuove.
C’è Toto Bulgheroni, giubbotto di pelle e occhiali scuri. La folla si accorge di lui e partono cori e battiti di mani. Dietro quegli occhiali scuri, un mondo di sensazioni.
Ci sono gli americani, quasi attoniti. Gli italiani, sorridenti e grati.
E c’è Luis Scola. Cui una lacrima, giurano i presenti, a un certo punto scende. Inevitabile, quando anche tu sei “la prima cosa bella” per tanti cuori.
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