Il Nazionale

Cronaca | 21 febbraio 2023, 19:57

Violenze e soprusi anche su bambine con meno di dieci anni: al via il processo che vede alla sbarra la "setta delle bestie"

Ventisei le persone che da venerdì compariranno di fronte alla Corte d’Assise di Novara. Nei loro confronti le pesanti accuse scaturite dalla denuncia di una donna braidese, per 17 anni vittima delle angherie dell'organizzazione attiva tra Piemonte e Lombardia

Violenze e soprusi anche su bambine con meno di dieci anni: al via il processo che vede alla sbarra la "setta delle bestie"

Il coraggio di denunciare quanto accaduto durante diciassette anni di soprusi. Violenze iniziate quando di anni ne aveva appena sette e proseguite ininterrottamente sino al 2010. E’ da quei racconti resi agli inquirenti da una donna residente nel Braidese, oggi 36enne, che ha preso le mosse l’inchiesta che nei mesi scorsi ha portato il Giudice dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale di Torino a disporre il rinvio a giudizio di 26 persone. Soggetti che per gli inquirenti hanno fatto parte a vario titolo di quella che nelle cronache è stata ribattezzata come la "setta delle bestie", dai soprannomi ("capretta", "cavallo", "volpetta", "lumachina") coi quali gli adepti dell’organizzazione segreta con radici tra il Piemonte e la Lombardia si sarebbero riconosciuti all’interno della stessa.

Il processo prenderà il via venerdì 24 febbraio. Non a Torino, ma di fronte ai giudici popolari della Corte d’Assise di Novara, dove si è svolta buona parte degli atti finiti nel corposo fascicolo composto dal pubblico ministero sulla base delle indagini condotte dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Torino.

L’ampia platea di imputati, tutti residenti tra Milano e diversi centri della sua cintura, il Pavese, il Varesotto e il Bergamasco, dovrà rispondere a vario titolo di soprusi di ordine fisico e psicologico, insieme a pratiche sessuali anche estreme inserite in un contesto di dominazione e plagio perpetrato lungo un arco temporale di trent’anni. Tra le accuse più pesanti violenze sessuali aggravate e di gruppo commesse anche ai danni di minori di anni 10, come nel caso della donna braidese, oltre che riduzione in schiavitù e associazione a delinquere.

Nove le persone tra vittime e parenti costituite in giudizio come parti civili, insieme a tre associazioni che lottano contro la violenza sulle donne. Tra queste anche la saviglianese Mai+Sole, che assiste in giudizio la principale accusatrice della setta e una seconda ragazza, ora residente in Svizzera, col patrocinio dell’avvocato albese Silvia Calzolaro. All’avvocato Elisa Anselmo, anche lei di Alba, si è affidata una terza giovane insieme ai suoi familiari, mentre il legale astigiano Marco Calosso e il collega monzese Silvio De Stefano patrocinano una quarta e una quinta vittima dell’organizzazione.

Non compariranno a giudizio il capo della setta, Gianni Maria Guidi, 79enne nato a Pavia e residente a Milano. E insieme a lui la sua principale collaboratrice fino al 2013, Sonia Martinovic. I due sono stati dichiarati momentaneamente incapaci di affrontare il dibattimento. Le loro posizioni sono temporaneamente sospese in attesa di ulteriori test clinici.

Una figura, quella di Guidi, chiamato dagli adepti "il dottore", ma anche come "Re bis" o "il Pontefice", che secondo l’accusa nell’organizzazione si era elevata al rango di punto di congiunzione "tra il mondo terreno e quello spirituale", ai cui desideri tutti dovevano sottostare in modo incondizionato in un processo che, secondo la rappresentazione interna alla congrega, ne avrebbe portato i discepoli ad "annullare l’io pensante" proprio attraverso il dolore e la sottomissione, "accendendo il fuoco interiore" e quindi "elevando la propria mente".  

All’uomo avrebbe così fatto riferimento un sistema che si sarebbe nutrito addirittura di torture e scabrosi riti di sopraffazione sessuale, perpetrati senza ritegno anche nei confronti di vittime giovanissime. Anche sfruttando il vincolo di fiducia dei familiari appartenenti al gruppo, queste venivano addirittura allontanate dalle famiglie per inculcare loro le teorie della setta tramite iniziazione a "pratiche magiche" e sotto la minaccia di inenarrabili conseguenza se ne avessero rivelato pratiche e natura.

Al vertice una piramide che negli anni si era strutturata di modo che le stesse vittime assumessero presto il ruolo di "mami", cui competeva l’onere di adescare nuovi soggetti attraverso strumenti quali una scuola di danza "magica", ma anche un’erboristeria, una bottega celtica e altre attività – quasi tutte con sede a Milano – che per la setta diventano anche fonte di guadagno grazie al lavoro prestato in nero dalle stesse soggiogate. 

Commenti