Si compone di poche frasi, in parte udite in lontananza, e di pochi dettagli, il racconto delle persone che lo scorso 3 dicembre, intorno alle 22, si trovavano a bordo del treno della linea Milano - Varese su cui si consumò la violenza sessuale ai danni di una giovane, classe 1999. Per il drammatico fatto, sommato ad una seconda aggressione sessuale, tentata poco dopo nella sala d’attesa di Venegono Inferiore ma non consumata per la fuga della vittima, sono in carcere da quasi un anno un 22enne tradatese e un 27enne di origine marocchina.
Per l’accusa sono rispettivamente la persona che avrebbe tenuto ferma la ragazza avvicinata sul treno e quella che invece l’avrebbe violentata, su un vagone al piano superiore del convoglio. Un vagone deserto, mentre i pochi passeggeri a bordo del treno erano distribuiti tra i posti al piano sotto.
Tra questi una giovane, che ha testimoniato questa mattina in aula davanti ai giudici del collegio del Tribunale di Varese e ha ricordato di non aver prestato particolare attenzione, inizialmente, a quanto stava avvenendo a pochi metri da lei. Voci in lontananza («mi fai male»), ha raccontato la giovane, associate ad un probabile litigio di coppia. Il rumore di uno spintone e nient’altro, fino a che la vittima dello stupro non si presentò davanti a lei, sconvolta, pronunciando una frase: «Un marocchino mi ha aggredita».
Aveva le auricolari perché era al telefono con il padre: questo già prima di essere raggiunta dai due aggressori, saliti a Tradate, uno con una bicicletta e l’altro con una stampella, alterati dall’alcol, come la stessa vittima aveva raccontato nella precedente udienza (clicca e leggi QUI), descrivendo l’incubo di quel viaggio iniziato alla stazione di Saronno e che avrebbe dovuto condurla a Stabio per una serata con gli amici.
Poi, dopo l’allarme lanciato nel vagone al piano terra, ci fu il tentativo di fuga della ragazza abusata, con il treno fermo alla stazione di Venegono. E l’incontro con il capotreno, altro testimone di giornata: «Quando le porte del convoglio si sono aperte ho visto scendere due ragazzi insieme ad una giovane, che subito dopo ha cercato di allontanarsi da loro, iniziando una colluttazione». Poi i due si allontanano e il capotreno si avvicina: «Ricordo che lei, vedendomi, pronunciò una frase, “non ci siete mai quando c’è bisogno di voi” - ha specificato il testimone -. Abbiamo parlato, l’ho accompagnata in bagno e mi ha raccontato della violenza ma senza aggiungere dettagli sul fatto e sull’identità degli aggressori». E la banchina solo parzialmente illuminata non aiutò il capotreno a notare particolari utili.
Ai due presunti aggressori gli inquirenti arrivarono anche grazie alle testimonianze delle due giovani vittime, che però in udienza non hanno riconosciuto con certezza i due imputati. Alla deposizione di una delle due, inoltre, ha assistito uno solo dei ragazzi in carcere, e non è escluso che la vittima della tentata violenza venga sottoposta ad un nuovo riconoscimento facciale, in presenza dell’altro imputato, prima della chiusura del dibattimento, che proseguirà a dicembre con l’esame degli ultimi testimoni del pubblico ministero. Poi si passerà a quelli della difesa.
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