Quella di Orlando e Attilio Pecchenino, vignaioli di Dogliani, è una vicenda giudiziaria che sembra non trovare una fine. Nei giorni scorsi, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione emessa dalla Corte d’Appello e dunque, bisognerà fare ‘tutto da capo’, almeno il giudizio di secondo grado.
Ma ripercorriamo quanto accaduto in precedenza. I due fratelli sono titolari di un’azienda vitivinicola con vigneti e cantina a Dogliani, ma anche proprietari di terreni e cantina nella zona del Barolo, a Monforte.
Nel 2016, a seguito di una denuncia da parte di un privato si era ipotizzata la vinificazione fuori zona del Barolo da loro prodotto. A seguito delle indagini condotte dalla Procura di Cuneo gli imprenditori vennero rinviati a giudizio con l’accusa di tentata frode in commercio. La condanna inflitta in primo grado si riferiva alle bottiglie poste sotto sequestro dai NAS nel 2016, in particolare delle annate dal 2007 al 2012 (per gli altri lotti annate, quelli del 2005 e del 2006, vennerso assolti).
Ciò che è stato loro contestato da parte della pubblica accusa era di aver eseguito il processo di vinificazione di Nebbiolo da Barolo a Dogliani, ad appena 300 metri fuori dalla zona di origine del vino stesso e non a Monforte d’Alba, area che rientra nel ‘Disciplinare’. Dunque, per il pubblico ministero, il Barolo prodotto non sarebbe stato di qualità inferiore o adulterato ma privo delle caratteristiche richieste per essere DOCG.
Orlando Pecchenino, assistito dagli avvocati Fabrizio Mignano e Luisa Pesce, nel corso del procedimento di primo grado aveva spiegato che fino al 2005 la vinificazione del vino Barolo avveniva in comune di Novello: la decisione quindi di ricollocare la produzione in una cantina affittata a Monforte, aveva richiesto una soluzione momentanea a Dogliani, in quanto i lavori di ristrutturazione sulla stessa si erano conclusi solo nel 2017.
Impugnata la sentenza di condanna di primo grado da parte di legali dei vignaioli, il giudice della Corte di Appello di Torino ha ribaltato l’esito processuale, assolvendoli con formula piena, “perchè il fatto non sussiste”.
Il procuratore Generale della Corte d’Appello ha però presentato ricorso davanti alla Corte di Cassazione che ha ‘cassato’ (annullato) la sentenza di assoluzione con rinvio alla corte d’appello per integrare la motivazione. La Suprema Corte ha ritenuto che le motivazioni addotte dal giudice di secondo grado non fossero sufficientemente esaustive. Detto in soldoni, il giudice avrebbe dovuto motivare meglio e per questo, si dovrà celebrare un nuovo appello davanti ad altra sezione.
Gli avvocati dei Pecchenino, Fabrizio Mignano e Luisa Pesce: “Prendiamo atto della decisione della Cassazione che riguarda, esclusivamente, l’impianto motivazionale della sentenza impugnata. Tale pronuncia non intacca in alcun modo il valore degli elementi di prova favorevoli agli imputati ma, al contrario, ne riconosce la pregnanza. Affronteremo il nuovo giudizio di appello con assoluta serenità."
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