Al tribunale di Cuneo si è celebrata una nuova udienza relativa al procedimento penale scaturito dall’operazione Lino, condotta dalla Guardi di Finanza della Granda, iniziata nel 2017 e conclusasi tre anni dopo.
Nel mirino delle Fiamme Gialle, alcuni centri di accoglienza straordinaria, i CAS, situati a Montezemolo, Belvedere Langhe, Savigliano, Ceva, Borgo San Dalmazzo, Valdieri e Monterosso Grana. L’inchiesta terminò con la denuncia e la richiesta di rinvio a giudizio di alcuni responsabili legali di tre cooperative site nel torinese, incaricate della gestione proprio dei CAS siti nella provincia di Cuneo. La gestione dei centri in capo alle cooperative si basava su uno specifico accordo quadro, stipulato durante la fase più acuta dell’emergenza migranti, che prevedeva in favore delle stesse erogazioni di fondi da parte delle Prefetture di 34,90 euro al giorno per ciascun richiedente asilo ospitato.
Il primo CAS che venne ispezionato fu quello di Montezemolo, gestito dalla cooperativa Immacolata 1892 Srl, alla quale facevano capo altri cinque centri di accoglienza straordinaria del cuneese: uno a Valdieri, tre a Ceva e due a Borgo San Dalmazzo. Durante il sopralluogo le autorità appurarono l’assenza 10 migranti che, segnati sul foglio delle presenze, vennero poi ritrovati in una “struttura formalmente sconosciuta” di Pietra Ligure.
Con il prosieguo delle indagini vennero scoperte altre due cooperative verosimilmente coinvolte: la Casa dell’Immacolata Srl, che gestiva il Cas di Belvedere Langhe, e il Tulipano, a cui erano affidate quelle di Savigliano (Levaldigi), Bene Vagienna e Monterosso Grana. La Procura di Cuneo sostiene le accuse di caporalato e truffa nei confronti dei responsabili legali delle cooperative (LEGGI QUI). I migranti, dunque, secondo il sostituto procuratore, sarebbero stati traferiti in Liguria per svolgere alcune attività che nulla avrebbero avuto a che fare con l’accordo quadro. Da qui, la contestazione di sfruttamento del lavoro.
Altro punto saliente del procedimento è chiarire se le cooperative, a cui è mossa l’accusa di truffa, avessero chiesto il doppio rimborso di 34,90 euro al giorno per ciascun migrante. A Pietra Ligure erano stati trovati alcuni documenti per poterlo richiedere alla Prefettura: “le domande di rimborso erano uniche. Non sono risultate richieste plurime” - aveva testimoniato un luogotenente della Guardia di Finanza. Per la pubblica accusa la truffa starebbe nell’aver attestato falsamente la presenza di migranti che si sarebbero trovati altrove.
In aula sono stati ascoltati come testimoni alcuni ex dipendenti delle coop che lavoravano in uno o più centri di accoglienza. Il sostituto procuratore ha domandato loro dei ‘fogli di presenze’, documenti che venivano forniti ai CAS mensilmente che gli ospiti dovevano compilare e firmare quotidianamente. Una ex dipendente di Ceva e Montezemolo ha dichiarato che i fogli delle presenze venivano firmati solo in un posto solo: “Se i ragazzi andavano a fare un corso a Pietra Ligure la presenza veniva firmata lì ma era il centro di Ceva che richiedeva la liquidazione di quella presenza”. Un manutentore che lavorava in tutte le strutture ha invece riferito che: “A Pietra Ligure c’era un operatore che delle presenze, sia quelle di partenze che di arrivo. Si firmava sia in entrata che in uscita”.
Altri testimoni hanno invece riportato sulla modalità di trattamento degli ospiti, i quali venivano indirizzati a svolgere corsi di formazione relativi ad alcune attività formative, come igiene, volontariato, cucina, informatica, volontariato e di lingua. “A Pietra Ligure imparavano a costruire muretti a secco -ha spiegato un mediatore culturale-. Uno dei ragazzi che prima faceva l’elemosina a Ceva adesso ha imparato il mestiere”.
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