“Glovo ti piace sfruttare, ora devi pagare”. È lo striscione appeso davanti all’ingresso del Palazzo di Giustizia di Torino dove questa mattina si terrà l’ultima udienza del processo intentato dai lavoratori del servizio di consegna a domicilio all’azienda spagnola.
“Chiediamo un contratto di lavoro”, spiega Omar Bourbouh, uno dei lavoratori che hanno intentato la causa.
Causa che ha preso forma circa tre anni fa durante il periodo pandemico come risposta alle precarie condizioni imposte attraverso cottimo, controllo pervasivo della prestazioni e punteggi.
“Lavoravamo con partita iva, ma di fatto eravamo come dei dipendenti ma la ditta non ce lo riconosce”, aggiunge Omar.
Condizioni di sicurezza, riduzioni arbitrarie di turni e salari, sospensioni e licenziamenti illegittimi sono le accuse che i rider nuovo alla multinazionale.
“La quotidianità dei e delle rider è scandita dell'imposizione dei ritmi, degli ordini e del controllo capillare delle applicazioni - spiegano i lavoratori -.
È proprio da questi ritmi, oltre che dalla natura stessa del lavoro, che la sicurezza e nei casi peggiori la vita stessa di chi consegna pasti a domicilio viene messa estremamente a repentaglio”.
“In un momento di generale crisi economica e di instabilità, riteniamo che creare rapporti di solidarietà, valorizzare e condividere questi strumenti con chi vive situazioni di isolamento sul lavoro, può essere un punto di partenza per migliorare le proprie condizioni di vita e affrontare i ricatti legati ad esso”.
Verso mezzogiorno è prevista la sentenza, fino ad allora il picchetto resterà davanti ai cancelli del tribunale per dare supporto ai colleghi rider.
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