“Il carattere sistematico e professionale del commercio di hashish svolto da Mario Mandarano e il palese inserimento nella criminalità organizzata di matrice calabrese, in assenza di attività lavorative stabili, rende probabile che l’indagato appena scontato il periodo di detezione riallacci prontamente i rapporti con l’ambiente criminale di riferimento e riprenda il traffico in cui ormai è specializzato consistente nell’introduzione di notevoli quantitativi di droga in un’ampia area geografica che si estende dal ponente ligure alla provincia di Alessandria, con considerevole pericolo per la salute pubblica”. Non usa mezzi termini il gip del Tribunale di Imperia, Massimiliano Botti, nel motivare le esigenze cautelari che hanno portato ad emettere l’ordinanza nei confronti dei 14 indagati nell’ambito dell’operazione “Predictio”, condotta dalla Squadra Mobile diretta dal commissario capo Giovanni Franco su coordinamento del pm Antonella Politi.
Nello specifico per quattordici indagati è stata disposta la custodia in carcere ossia Flavio Ianni, Sergio Taverna, Daniele Narciso, Gianfranco Bianco, Giuseppe Russo, Massimiliano Paletta, Giuseppe Stilo, Giacomo Masotina, Elice Bellanti, Ervin Bashmeta, Frederic Siorat, Walter Tropeano, Antonio Carbone e Mark Scaffin), mentre per due gli arresti domiciliari (Paolo Beleffi e Bashkim Bashmeta). Mentre l’obbligo di dimora per Antonio Zito e Marico Queirolo, il divieto di dimora per Mario Mandarano, Franco Guastamacchia e Roberto Rebora e l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per Lorenzo Rebora Corci).
Nell’ordinanza emessa dal gip Botti un’ampia parte è dedicata all’indagato Mandarano che venne arrestato in flagranza di reato nel marzo del 2020. All’interno del suo garage a Taggia i poliziotti trovarono appunti e taccuini che hanno permesso agli inquirenti e agli investigatori di ricostruire i presunti traffici illeciti nella nostra provincia, ma anche a Genova e in Piemonte. “Un copioso archivio cartaceo, costituito da numerosissimi appunti e block notes manoscritti e ‘dedicati’ – evidenzia il gip nelle 62 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare - nei quali l’indagato aveva minuziosamente e precisamente riportato tutta la contabilità relativa all’attività illecita svolta, registrata a partire dall’anno 2015 con annotati nominativi degli acquirenti – anche spesso indicati solo con nomi propri o pseudonimi, quantitativi e tipologie delle sostanze acquistate, prezzi cifre già corrisposte da parte degli acquirenti e-o ancora da corrispondere”.
L’indagato infatti, in questi taccuini avrebbe annotato con precisione debiti e crediti, nomi associati a quantità e “qualità” e alle somme di denaro che dovevano ancora dare oppure che avevano già speso per l’acquisto della droga. Un mega archivio in cui sarebbero contenuti tutti gli affari dalla fine del 2015 al maggio del 2018. “A partire da tale momento, è evidenziato nelle carte dell’inchiesta - erano redatti taccuini personali, cioè dedicati a ciascuna delle persone in contatto con l’indagato”. Venivano persino indicati il nome dei marchi e della qualità dello stupefacente “nonchè le quantità delle rimanenze in magazzino, comprensive dei prezzi in una sorta di inventario”. I nomi dati alle confezioni droga, erano tra i più disparati e ognuno indicava un tipo di qualità ben preciso: pasta reale, erba 1, erba 2, Ferrari, Louis Vuitton, Rolex, Lavazza, Dubai, R1, amnesia, gorilla, G, Lamborghini. Questi infatti erano impressi su molte confezioni di hashish. Tra questi il ‘prodotto’ Rolex sarebbe stato fornito dai francesi e lo stesso veniva definito il “ministro dei top”.
Per il gip sull’indagato insistono “gravissimi indizi di colpevolezza” scaturiti da questi documenti uniti intercettazioni, servizi di osservazione e le testimonianze rese da alcuni clienti del gruppo. Partendo da questi documenti gli inquirenti hanno sviluppato l’indagine e gli stessi hanno permesso anche di ricostruire i rapporti di debito-credito nonché di “individuare le cessioni di stupefacente”.
Agli indagati non viene contestata l’aggravante mafiosa oppure reati inerenti la criminalità organizzata ma l’ombra della ‘ndrangheta aleggia sull’intero giro di affari che il gruppo avrebbe messo in piedi grazie allo spaccio. Ognuno avrebbe ricoperto uno specifico ruolo. “L’indagine ha disegnato nitidamente la filiera del traffico di cannabinoidi della quale Mario Mandarano era il perno, sottolinea il gip, quest’ultimo si è approvvigionato di massicce quantità di hashish e marijuana da Franco Guastamacchia, Sergio Taverna, Ervin Bashmeta, Bashkim Bashmeta, Giacomo Masotina e Frederic Siorat e le ha immesse sul mercato anche al di fuori della provincia di Imperia per il tramite di Flavio Iannì, Roberto Rebora, Lorenzo Rebora Corci, Gianfranco Bianco, Giuseppe Russo, Massimiliano Paletta, Walter Tropeano, Marco Queirolo, Antonio Zito, Antonio Carbone e Giuseppe Stilo; ha svolto funzioni da intermediario tra Giacomo Masotina, Elice Bellanti, e i ‘grossisti’ di droga. Parallelamente Iannì, Narciso, Beleffi e Scaffini hanno esercitato in maniera sistematica il commercio di cocaina”.
Questo meccanismo avrebbe consentito al gruppo e ai suoi “protagonisti di smerciare non solo nella zona dell’estremo ponente ligure ma anche in provincia di Alessandria e Genova, ingenti quantità di sostanza stupefacente e ricavarne guadagni molto cospicui come risulta dalla contabilità di Mandarano che annota debiti e crediti per centinaia di migliaia di euro”. Ma questo meccanismo per il gip non è scevro da contaminazioni mafiose ed in particolare “sottende una rete di relazioni e contatti con il mondo del crimine organizzato che definisce in maniera inquietante il profilo della pericolosità degli indagati”. A sostegno i questa tesi una serie di intercettazioni telefoniche come quella dell’11 gennaio del 2020 dove Mandarano informa Ianni che Antonio Zito “è imparentato con la ‘ndrina Facchineri di Cittanova (in provincia di Reggio Calabria ndr) coinvolta in una faida sanguinosa e che lo stesso Zito in passato aveva subito un tentativo di omicidioad Arma di Taggia compiuto da esponenti della famiglia avversaria”: “era andato in coma! C’hai i buchi dei proiettili”.
Ma non solo. Nell’intercettazione viene descritto con “dovizia di particolari un incontro di Mandarano con gli esponenti di una ‘ndrina radicata nella zona di Milano ammettendo di aver avuto per ‘maestro’ tale Nino Gullace, residente a Spotorno definito ‘un boss della bassa Piemonte e della Liguria”: “Io quando ero a Imperia, a Sanremo è rientrato dalla Francia e ho detto…il cognome..il compare Nino Gullace, minchia”.
Contatti e relazioni che sarebbero serviti in caso di bisogno. Come quando per sollecitare il saldo dei corrispettivi Mandarano non avrebbe esitato “a prospettare ai debitori l’intervento dell’organizzazione di cui evidentemente fa parte, scrive il gip, utilizzando sovente il termine ‘cugini’. E proprio l’importanza del gruppo “nella trattazione degli affari criminosi’ è saltata anche in un’altra intercettazione captata il 31 dicembre del 2019 nella quale raccomanda a Flavio Ianni: ‘ricordati, più si è uniti più si è di più, una persona sola non fa rumore’.E proprio Iannì nel rammentare la forza del gruppo ai propri debitori ha specificato che “suo zio è calabrese, ch’ha i c…i tanti e i pagliacci non li vuole sentire al telefono (…) Vedi che mu ti presenti perché finisce a schifiu! Che ti faccio finire male! Tu a me non mi conosci, non conosci a nessuno tu! qua non fare il furbetto”.
Per tutti questi elementi il gip sottolinea come “Mandarano, Iannì, Carbone e Zito appaiano gravitare in un ambiente che presenta caratteristiche schiettamente mafiose del quale traggono sia i contatti e le risorse economiche per gestire le imponenti quantità di stupefacenti contestate dal pm che la forza intimidatrice necessaria per convincere i debitori riottosi a pagare”. In questo perimetro criminale poi si inserirebbero i presunti fornitori di Mandarano “Guastamacchia, Siorat, Taverna, Ervin e Bashkim Bashmeta, in grado di alimentare incessantemente nell’arco di almeno tre anni l’ampio mercato gestito da Mandarano”. Tutti gli altri indagati nell’inchiesta costituirebbero le “propaggini territoriali, impegnate nella rivendita dei quantitativi affidati da Mandarano spesso con il sistema della vendita ‘a gancio’ che rende più stretto e duraturo il rapporto con il fornitore”.
Il mix perfetto che avrebbe per messo il gruppo di smerciare per anni la droga nell’imperiese, ma anche a Genova e in Piemonte sarebbe costituito, in definitiva per il gip, da “i contatti con la criminalità organizzata di origine calabrese, le dimensioni poderose del volume d’affari e le modalità collaudate del commercio”.
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