Il Nazionale

Cronaca | 14 aprile 2022, 07:55

Aggredirono un ragazzo temendo che fosse un ladro: due "giustizieri" condannati per violenza privata

Lo scorso novembre a Castronno due uomini assalirono nella notte un ventiquattrenne, il tribunale ha riqualificato il capo di imputazione: non fu rapina, ma violenza privata. L’accusa aveva chiesto sei anni e sei mesi di reclusione

Aggredirono un ragazzo temendo che fosse un ladro: due "giustizieri" condannati per violenza privata

Condannati ma scarcerati. Si è chiusa così la vicenda processuale dei due di Caronno Varesino accusati di rapina e lesioni per un fatto avvenuto lo scorso novembre, dopo il quale entrambi - un cinquantenne e un quarantatreenne - erano stati sottoposti alla misura della custodia cautelare in carcere. 

Dopo cinque mesi sono nuovamente degli uomini liberi, avendo già scontato la pena comminatagli dal collegio del Tribunale di Varese nel pomeriggio di ieri. Non per i due capi d’imputazione attorno ai quali si è svolto il procedimento penale (clicca qui per i dettagli), ma per il reato di violenza privata, in virtù della riqualificazione stabilita dai giudici.

Il pubblico ministero aveva chiesto sei anni e sei mesi di reclusione, avanzando la tesi della ricostruzione “non credibile” in rapporto a quanto dichiarato dagli imputati nel corso del dibattimento, cioè che i due in una notte di inizio novembre dello scorso anno fermarono un ventiquattrenne del paese, di rientro da una serata trascorsa a casa di amici, non per derubarlo degli effetti personali (sparì il suo telefono, trovato il giorno dopo a casa di uno degli imputati, che teneva l’apparecchio sotto il divano) ma per fermare uno dei presunti ladri che da giorni - stando alla loro versione - si aggiravano per le vie di Caronno, a notte fonda, muniti di torcia. 

La persona offesa a processo ha dichiarato di essere stata messa a terra e minacciata con una spranga; gli imputati, durante la stessa udienza hanno invece affermato tutt’altro: il ragazzo era scivolato da solo e loro non avevano fatto in tempo a restituirgli il telefono perché lui, terrorizzato, se l’era data a gambe, correndo a casa dalla compagna e allertando i carabinieri. In sostanza quei due, a mo’ di “giustizieri”, volevano verificare la sua identità e accertarsi che non fosse un malintenzionato. 

Ruoli completamente capovolti, secondo un racconto inverosimile per la pubblica accusa, ma diventato alla fine determinante grazie all’arringa difensiva degli avvocati Sergio Bernocchi e Fabrizio Busignani, che in punto di diritto hanno messo in discussione le reali intenzioni del duo: non c’è la prova certa che il giovane fu avvicinato con fare minaccioso (“quelle del ragazzo sono supposizioni”) e la spranga che sarebbe stata impiegata quella notte non fu ritrovata a casa dei sospettati; la persona offesa ha fornito troppe ricostruzioni diverse circa l’effettiva dinamica dell’aggressione; non c’è prova della volontà degli imputati di intascarsi il cellulare (uno dei due aveva appena acquistato un telefono nuovo) e inoltre il portafoglio del ragazzo restò dov’era, cioè nel suo zaino, con tanto di carte di credito all’interno.

E poi le frasi pronunciate: “Chi sei? Da dove vieni?”, e una domanda lasciata volutamente in sospeso dall’avvocato Bernocchi: «Si è mai visto un rapinatore che si interessa dell’identità della sua vittima anziché indurla a vuotare le tasche?».

Gabriele Lavagno

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