Il Nazionale

Cronaca | 19 novembre 2021, 08:44

Piste tralasciate, tanti testimoni anonimi e reperti non analizzati sono il giallo nel giallo di Nada

Le tecnologie moderne riusciranno a risolvere un omicidio di 25 anni fa? Gli indizi portano verso Boves ma basteranno per una eventuale condanna al di là di ogni ragionevole dubbio?

Piste tralasciate, tanti testimoni anonimi e reperti non analizzati sono il giallo nel giallo di Nada

Se è vero che non esistono delitti perfetti ma inquirenti incapaci, il caso di Nada Cella ne è, purtroppo, un esempio lampante.

Più la procura di Genova indaga e più ci si chiede come mai certe piste non furono approfondite fin da subito: testimoni oculari, telefonate, segnalazioni di persone con tanto di nome e cognome.

Al di là dei mezzi tecnici e scientifici più moderni dei quali dispone oggi la polizia scientifica, già 25 anni fa ci sarebbe stato modo e maniera per arrivare alla verità. Perché se c’è un assassino in libertà c’é anche una madre - disperata quanto composta e dignitosa del suo lacerante dolore - che attende da un quarto di secolo di sapere chi e perché ha ucciso sua figlia a soli 24 anni, in un modo così brutale.

“Da allora sono stata condannata all’ergastolo - ha detto con un filo di voce mamma Silvana Smaniotto -. Mentre qualcuno ha continuato a vivere come se niente fosse”.

Nonostante le nuove tecnologie, la bravura degli inquirenti e la caparbietà della criminologa Antonella Pesce Delfino che ha raccolto gli elementi per far riaprire il caso, con il supporto dell’avvocato Sabrina Franzone, non sarà facile costruire un castello accusatorio credibile e sufficiente per identificare senza ombra di dubbio che ad uccidere la giovane segretaria sia stata la bovesana Annalucia Cecere, iscritta da mesi nel registro degli indagati, con la pesante accusa di omicidio.

Telefonate anonime, un bottone trovato accanto a Nada non proprio identico ad altri rinvenuti a casa della Cecere, un motorino di cui parlavano i testimoni sequestrato ed analizzato solo ora, una mendicante che vide una donna fuggire dallo stabile, morta alcuni anni fa. E che tra l’altro non riconobbe nella fuggitiva la sospettata Annalucia Cecere. Ecco gli elementi su cui si basa il piano accusatorio, in attesa della svolta che potrebbe esserci - ma non è così scontato - con l’analisi delle macchie trovate accanto alla sella dello scooter di Cecere.

Un risentimento contro una presunta rivale in amore e telefonate di fuoco - durate oltre nove mesi - giocano a sfavore dell’indagata, ma saranno sufficienti per condannarla in un processo reale e non solo mediatico, al di là di ogni ragionevole dubbio? Anche questa volta la carta vincente potrebbe trovarsi in quelle tracce ematiche rinvenute accanto alla sella del motorino della Cecere, nel caso in cui venisse accertato - attraverso il Dna - che appartengono alla vittima, oppure nelle analisi dei capelli trovati sulla scena del crimine se venisse dimostrato che appartengono all’indagata.

“Sicuramente allora furono trascurate piste, tracce ed indizi che potevano portare ad identificare il responsabile - sottolinea l’avvocato Franzone - ed oggi è tutto più difficile, anche se possiamo contare sull’aiuto di mezzi scientifici che 25 anni fa non esistevano. Sono però fiduciosa nel credere che l’impianto accusatorio reggerà anche nel caso in cui l’analisi del Dna non ci darà i riscontri che attendiamo”.

Per ora gli elementi raccolti portano tutti verso Boves, dove una donna di 53 anni deve fare i conti con il suo passato. “Fatemi pure il Dna - aveva detto Annalucia Cecere, qualche tempo dopo essere stata indagata - io con quella storia non c’entro nulla”.

NaMur

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