Con la prevedibile - in sintesi anche nelle dimensioni - sconfitta di questa sera a Trieste, per Varese sono iniziati, o per meglio scrivere ricominciati, due diversi cammini. Entrambi complicati, incerti, non completamente determinabili dalla propria volontà, anzi certamente influenzabili da fattori esterni.
Entrambi, questo è sicuro, vitali.
Il primo si compirà sul campo. E avrà il vento contro degli strascichi - non ancora determinabili con esattezza- del Covid sui giocatori ma anche dell’eventuale incapacità di migliorare rispetto a quello che è stato l’andamento tecnico dell’intera stagione fin qui. Più, ovviamente, gli avversari, con la loro forza attuale e i loro eventuali progressi.
Il secondo consterà di passi che con i parquet c’entrano poco o nulla. Sarà una scalata da giocare nelle sedi opportune per ottenere la ricognizione di un senso di responsabilità necessario a fissare sulla roccia l’eccezionalità del campionato in corso, in virtù della pandemia e delle conseguenze agonistiche ed economiche che ha recato con sé, per Varese come per la maggior parte delle altre società. Un’eccezionalità che imporrebbe regole eccezionali, tra le quali il blocco delle retrocessioni. Sarà una battaglia politica, di peso specifico da far valere. Sarà una guida contromano rispetto alla fastidiosa e storica inerzia di Lega e Fip a lasciar sedimentare le questioni più complicate per poi non risolverle. O risolverle alla carlona (e siamo stati gentili con i termini).
Del primo cimento il risultato della partita odierna è stato incipit purtroppo scontato e incolpevole, ma dal quale sarebbe disonesto non trarre almeno qualche indicazione. Il + 25 firmato dalle innumerevoli triple di Trieste ha penalizzato oltremodo l’orgoglio e l’impegno di un gruppo falcidiato e fiaccato dal virus, arrivato sul traguardo con così grave ritardo perché negli ultimi chilometri di energie non ne ha avute davvero più. Finché ha potuto, la Openjobmetis ha fatto sì vedere di possedere i crismi della voglia di lottare e della coesione psicologica, ma non ha certo nascosto tutti quei limiti che ormai conosciamo come la via di casa nostra: i limiti difensivi (inguardabili i pochi sprazzi a uomo, come sempre; punita dalle gambe e dalla mancanza di allenamento la zona), i limiti dei lunghi (e oggi mancavano gli esterni, non i big men o pseudo tali), i limiti di Scola nel coniugare le ottime prestazioni individuali con il bene complessivo e i limiti di alcune gestioni tecniche anche dal remoto della panchina (a quando un’uscita dal timeout convincente?).
Qualcuno potrà fermarsi alle percentuali da 3, 53% da una parte, 24% dall’altra: ecco, appunto, un altro atavico limite solo in parte giustificato dall’assenza dell’intero reparto guardie.
Poi, per amore del cielo, sempre premesse le indicibili difficoltà insite nelle circostanze in cui si è giocato il match, qualcosa di buono si è visto oltre a ciò che abbiamo sottolineato in precedenza: uno Strautins che continua a essere un colpo di mercato da leccarsi i baffi e un Ruzzier che se avesse avuto sempre il piglio dell’Allianz Dome, forse avrebbe portato i biancorossi ben lontani da dove sono attualmente.
Però intendiamoci con un monito che varrà da qui in poi, sperando che a poco a poco ritorni la forma fisica interrotta dal maledetto virus e che il lungo in procinto di planare su piazzale Gramsci possa servire a rafforzarsi davvero e a cambiare le gerarchie (Scola dalla panchina, maybe?): se Varese non dimostrerà di saper crescere almeno un poco nella restante metà del suo viaggio agonistico, l’A2 sarà meritata. Senza discussioni sul blocco delle retrocessioni et similia.
Le quali appartengono, come scritto, a un altro tipo di contesa. Chi dovrà giocarla? Tutti: dirigenti, tifosi (lo ha già fatto oggi il BSN), mass media. Varese merita rispetto e certezza delle regole (a proposito: quale regola imponeva che il recupero odierno si giocasse oggi invece che - chessò - mercoledì 10 marzo?). Merita di non assistere ai teatrini dei due organismi di governo che si passano la palla avvelenata con dichiarazioni sibilline («Mi fido di Gandini» ha dichiarato ieri il presidentissimo della Fip Gianni Petrucci sul blocco: ma che caspita vuol dire?), merita di non marcire nel silenzio sul futuro, merita di non soccombere davanti a interessi che non sono altro che particolari.
Merita, insomma, di non pagare oltre le sue colpe. Perché state tranquilli che quelle continueremo a rinfacciargliele un giorno sì e l’altro pure se e quando sarà il caso, retrocessione o non retrocessione.
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