L’orgoglio - ovvero la sintesi di una squadra che trova dentro di sé le forze per combattere contro le difficoltà e non si dà per vinta - è venuto fuori. È uscito, quasi all’improvviso, a un passo dalla morte tecnica, sul 41-58, nell’incipit di un terzo quarto fotocopia dei due precedenti.
Lì - complice l’inevitabile mossa di una zona persistente ordinata da Bulleri (leggi QUI le pagelle del ko con la Virtus) - si è visto finalmente un gruppo in grado di competere, di ridare dignità alla propria partita e un senso a quello che i nostri occhi esterni vedevano. Troppo tardi? No, decisivo per la sconfitta è stato ciò che avvenuto prima e ciò che è avvenuto dopo. E mentre una Virtus irretita dalla 3-2 sbagliava (anche con il suo campione Teodosic) l’impossibile, come un novello Babbo Natale, la Openjobmetis disfaceva la tela tessuta in difesa in un attacco via via improduttivo, scontato e spuntato dopo lo scatto di nervi che l’aveva portata fino a -5 (63-68). Scritto sul tabellone quest’ultimo risultato - firmato da un giovanotto che continua a dimostrare carattere al di là dei limiti di gioco: De Nicolao - da parte dei biancorossi ci sono state tre palle perse consecutive e due tiri sul ferro. Fanno cinque azioni di fila buttate via. E dopo uno sprazzo positivo ancora ascrivibile a De Nicolao e a Jakovics, la Penelope varesina si è ripetuta, decretando la parola fine alle proprie speranze. 13 punti segnati negli ultimi 10 minuti. Più una messe di secondi tiri lasciati agli avversari (alcuni oggettivamente prevedibili, difendendo a zona). Game over.
Forse però stiamo dimenticando una buona parte della storia. E stiamo scordando anche che l’orgoglio e la lotta sono una coperta troppo corta quando la squadra che li esibisce (prendendosi invero gli applausi - anche meritati - dei 200 di Masnago) è piena zeppa di problemi tecnici.
53 punti subiti in 20 minuti non sono prova solo di un approccio ancora una volta insufficiente dei ragazzi di Bulleri: sono ben più evidenza di una difesa che non può reggere la deleteria combinazione tra un lungo che non ha più le gambe per rincorrere gli avversari fuori dall’area e poi tornarci dentro (Scola), un compagno di reparto che si smarrisce nelle distrazioni (Andersson) e due esterni che non riescono a tenere un primo passo che sia mezzo (Ruzzier e Douglas). Era da tempo che non ci smarrivamo davanti a un’incapacità strutturale così marcata in retroguardia… Tanto che viene quasi da assolvere, fino a prova contraria, anche il Bullo, chiedendoci cosa avrebbe fatto il maestro Attilio Caja con una combinazione conciata così male… La contro-prova non l’avremo mai, peraltro.
Solo un cambio totale di filosofia difensiva, dopo aver subito violenza sotto e lontano da canestro, ha ridato una parvenza di logica alla Openjobmetis. La questione però rimane. E non è nemmeno la sola. A farle buona compagnia c’è quella di due giocatori che si pestano i piedi - Ruzzier e Douglas - entrambi sulle stesse linee di gioco, entrambi amanti della palla in mano, entrambi ben al di sotto della soglia di rendimento per la quale sono stati acquistati: uno perché timido e perso nella sua “tristezza”, l’altro perché mono-dimensionale e finora - Brescia a parte - non così leader (oggi 1/7 da tre e totalmente ininfluente nel tentativo di recupero finale). E poi… e poi - va beh - c’è “cocco di mamma” Andersson, che con qualche minuto trascorso sul parquet in più non ha rimarginato il solco della propria inutilità e un Morse che non ha nemmeno lui i mezzi per spostare: fanno due stranieri - due stranieri - regalati ogni domenica alle altre squadre.
Sì, l’orgoglio è davvero una coperta troppo corta. Anche se non aspettiamo altro che di essere smentiti, altro che di scorgere nei prossimi match una soluzione.
In realtà pare serva un termosifone. Anzi due. Anzi, forse tre. S’al custan?
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