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Sport | 27 settembre 2020, 20:29

Una Varese capace di cambiare in corsa e trovare la propria strada: ecco il primo, grande “canestro” del Bullo

IL COMMENTO DI FABIO GANDINI. Due partite in una: la prima, piena di difficoltà tecniche; la seconda, in cui la Openjobmetis è stata capace di risolvere ogni problema. Questa la grande vittoria su Brescia: merito di un allenatore che non ha avuto paura di cercare anche in modo testardo e coraggioso una soluzione

Una Varese capace di cambiare in corsa e trovare la propria strada: ecco il primo, grande “canestro” del Bullo

Cambiare è l’atto più difficile concesso dalla natura. La Madre di tutte le cose ha infatti deciso di concedere questo privilegio a pochi tra gli eletti da lei creati: tra loro c’è l’uomo, che per riuscirci - però - deve normalmente investire tanto di se stesso: anima, sudore e anche tempo. Soprattutto tempo

A Varese basta invece lo spazio di un intervallo per cambiare e dare una nuova direzione al destino della sua prima stagionale (leggi QUI le pagelle, guarda QUI le foto e QUI la cronaca). E questo è un piccolo prodigio che rende la vittoria su Brescia speciale, insperata, pesante come un macigno (ancor più pesante di quanto già non la renda la caratura degli avversari, sulla carta - e per pubblica ammissione - la versione più forte della loro storia). 

Il campo ha raccontato due storie diverse oggi, come fosse un aedo schizofrenico. La prima, anche un po’ preoccupante, durata 20 minuti, di una Openjobmetis che non solo si trascinava dietro i noti difetti del precampionato (sbavature tecniche in difesa e difficoltà sotto canestro), ma ne aggiungeva altri inediti: disorganizzazione offensiva, percentuali pessime al tiro e mancanza totale di punti di riferimento, visto che anche Scola - normalmente affidabile trattore - appariva fermo al palo, senza benzina, irretito dagli errori e anche un po’ testardo nel provare soluzioni personali. 

Il basket dura 40 minuti, ma a volte già venti sembrano poter parlare chiaro: davanti a un prodotto del genere e al cospetto di una Brescia sorniona, abile nello smascherare con la circolazione di palla ogni buco biancorosso e ben sorretta dalla classe dei suoi giocatori di maggior spicco, in pochi avrebbero pronosticato un ribaltone degli uomini griffati Massimo Bulleri.

E invece il ribaltone c’è stato. Ed è stato fragoroso, quasi irritante per una Germani convinta di aver già trovato il senso di ogni cosa. Un ribaltone di carattere (più grinta, più sicurezza, più attenzione), tecnico difensivo (dopo una messe di tagli e penetrazioni subite in pick and roll, l’area si è completamente chiusa per gli uomini in trasferta), tecnico offensivo (la palla data a Scola dove e quando si deve, maggiori tiri puliti costruiti), di leadership (l’argentino campione olimpico è salito in cattedra ma non è stato l’unico), di unità di squadra, di precisione. 

Dietro tutto ciò non può non esserci Massimo Bulleri. Uno che ha iniziato la sua avventura in Serie A con un timeout chiamato dopo 45 secondi di gioco e durato praticamente 10 secondi, due concetti ben chiari urlati ai suoi e tutti di nuovo sul parquet. Uno che ci ha provato per tutti i primi 20 minuti a trovare la chiave e l’equilibrio, cambiando spesso e prendendo anche decisioni inedite e coraggiose (l’esclusione di Andersson è stata una di queste). Uno che alla fine ha trovato il bandolo della matassa, riuscendo a convincere sia tecnicamente, sia psicologicamente i propri adepti.  

Non è poco per un esordiente. E lascia intravedere una traccia per il futuro: forse la Varese che verrà, la Varese da lui guidata, non sarà mai il sentiero senza curve che era la Varese di Caja (uno che l’impronta te la dava fin dal primo minuto, uno che non cambiava perché già “sapeva”, già aveva trovato la sua via, spesso giusta, anzi perfetta), ma potrà essere un esperimento continuo  e  audace, cangiante e versatile, progressivo e adattato, capace comunque di arrivare a un risultato. Quest’ultimo in fondo conta: nient’altro.

Certo, le sbavature non sono mancate. E, tra queste, poteva far male la non irreprensibile gestione degli ultimi 30 secondi dei tempi regolamentari che hanno concesso a Brescia il riaggancio e la prosecuzione del match oltre il quarantesimo. La fatica supplementare, però, è stata anche una scoperta supplementare: perché dopo Re Luis (per lui una clamorosa tripla doppia da 21 punti, 11 rimbalzi e 10 falli subiti), dopo l’oro vivo di un De Vico oggi capo-garra e pure bomber, dopo la crescita di Ruzzier e le potenzialità di Strautins, l’overtime ha fatto uscire anche Toney Douglas, assente ingiustificato prima, salvatore della patria poi. Ne deve ancora fare di strada l’americano per convincere e convincerci, ma oggi ha quantomeno dimostrato di non avere paura. Come la sua Varese.

Fabio Gandini

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