Eppure la si ama. La si ama, questa striscia sottile di terra stretta tra il porto container, la ferrovia, l’autostrada e il cavalcavia. La si ama ancor di più perché è ferita, perché una volta a stringerla c’erano solo il blu del mare e il verde delle colline. E la si ama a tal punto che non bisogna smettere di combattere per lei, per sanare quella ferita e per un minimo di vivibilità e di salute in più.
Palmaro, il posto delle palme, così come Pra’ era il posto dei prati: nomi antichi, che testimoniano di quanto, da queste parti, un tempo dominasse la natura, e oggi invece domina tutt’altro. Non si può tornare indietro, sarebbe utopia, ormai è impossibile anche il solo pensarlo: ma si può trovare - perché si può sempre trovare - un equilibrio più armonico tra insediamenti industriali e insediamenti abitativi.
Per questo motivo, qualche anno fa, si è riformato il Comitato Palmaro ed è stata ripresa in mano la battaglia volta a difendere il quartiere, a tutelare maggiormente chi ci vive da inquinamento acustico e atmosferico. Perché è vero che il porto rappresenta lavoro, ma rappresenta pure una fonte inesauribile di impatto sulle abitazioni circostanti. E se sul lavoro non si può negoziare, come fanno notare in tanti, sull’impatto si può negoziare eccome, anzi si deve.
Va in questa direzione l’ultima campagna lanciata dal Comitato Palmaro: nei mesi scorsi, prima che scoppiasse l’emergenza sanitaria, il gruppo di cittadini (sono diverse centinaia gli iscritti) si è rivolto al legale genovese Santo Durelli, esperto di questioni legate all’acustica, per innalzare il livello dei propri appelli, dopo essersi visto inascoltato su più fronti.
Questo perché i cittadini di Palmaro devono ascoltare di tutto: cicalini di giorno e di notte, sferraglio di vagoni ferroviari, mezzi pesanti che fanno rimbombare i giunti del cavalcavia portuale, transito di veicoli di giorno e di notte in quella autostrada che passa in mezzo agli edifici senza alcun tipo di barriera fonoassorbente, ciminiere delle navi e motori costantemente accesi. Ma nessuno si degna di ascoltare loro.
Così il Comitato, attraverso l’avvocato, ha inviato una serie di diffide ai responsabili di questa situazione, ma ora questa documentazione va implementata con dei rilievi fonometrici. Non basta scrivere, non basta ascoltare con le proprie orecchie. Forse perché non c’è più sordo di chi non vuole sentire, e allora la verità bisogna sbattergliela sulla faccia, scritta nero su bianco.
Solo che per i rilievi fonometrici servono importanti somme in denaro ed è così che, nei giorni scorsi, è partita una campagna, lanciata dal Comitato Palmaro, sulla piattaforma GoFundMe.
Roberto Di Somma, presidente del Comitato, spiega: “Il nostro obiettivo è arrivare a cinquemila euro, che è più o meno la somma di cui abbiamo bisogno per poter pagare i rilievi. Saranno eseguiti da professionisti, anche perché occorre che siano inconfutabili, se vogliamo portare avanti la nostra battaglia sulla giusta strada”.
Il link per donare è: https://www.gofundme.com/f/campagna-fononetrica-contro-inquinamento-portuale.
Secondo il Comitato Palmaro, “Genova è una città porto, ma dovremmo ricordarci che prima di tutto è una città, e non solo porto. Da anni noi ci battiamo per il rispetto della salute degli abitanti del quartiere Pra’/Palmaro nell’estremo Ponente Genovese, ammorbato da molte servitù portuali, autostradali e ferroviarie. I cittadini, infatti, non sono più disposti a sacrificare il proprio sonno e la propria salute per un porto che lavora incessantemente ventiquattr’ore su ventiquattro, portando rumore assordante e fumi nei polmoni dei cittadini. La campagna fononetrica dovrà dimostrare il superamento dei limiti di legge in quanto le istituzioni, interpellate a più riprese, latitano senza intervenire, in nome di una mancata legge relativa che, anche se esistente, manca di decreto attuativo”.
La storia ricorda, da vicino, quella di un altro fronte e di un altro comitato che, non per caso, ha appoggiato i ragazzi di Palmaro anche con un’offerta economica. Il riferimento è al Comitato Lungomare Canepa di Sampierdarena: pure loro pagarono di tasca propria i rilievi fonometrici e i dati che vennero fuori confermarono pienamente quanto sostenuto da tempo dai cittadini.
Ma se c’è un aspetto insopportabile, l’aspetto più odioso e inaccettabile di tutti, è che queste persone debbano arrivare al punto di spendere loro risorse per fare i rilievi, per difendere un diritto che non solo è previsto dalla Costituzione, ma ancor prima dal buon senso: il diritto alla salute.
Ma perché diavolo non c’è un solo ente disposto a finanziare questi rilievi? Non sono forse di utilità pubblica? Non è di utilità pubblica tutelare i cittadini e il territorio? Non è forse compito, anzi preciso dovere, di una buona amministrazione difendere la vivibilità di ogni territorio, di ogni territorio, e adoperarsi con ogni risorsa al fine di migliorarla? In sintesi: perché questi rilievi fonometrici non li eseguono le istituzioni? Che cosa c’è da nascondere? Quale reale rapporto intercorre tra città e portualità?
Domande più che legittime e, in attesa delle risposte, sono i cittadini, sono sempre loro a dare le risposte più brillanti: rimboccandosi le maniche e organizzandosi. Non c’è coesione sociale più forte che in questi quartieri ‘difficili’ e l’appello è proprio all’unità, quando c’è da lottare contro sistemi enormemente più grandi.
Con un occhio rivolto al passato e uno proiettato al futuro, si prova a scavalcare il presente. “Eravamo circondati, dal verde alle spalle, e dal blu mare davanti. Immàginati una delle più belle cartoline che tu abbia mai visto e raddoppia la meraviglia, andavamo alle sorgenti a prendere l’acqua da bere con brocche di terracotta, andavamo in giro con i cavalli e insomma, è tutta un’altra storia e un’altra epoca”: quello che Palmaro era ce lo ricorda il bellissimo libro di Manuela Monaco, maestra della scuola materna che vive in zona e blogger con un grande talento per la scrittura: il suo ‘16157’, uscito lo scorso dicembre, ha toccato il cuore di molti.
Ora quello che sarà, quello che dovrà essere, dipende da tutti. Magari proprio a partire da queste parole.
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