Il Nazionale

Cronaca | 24 agosto 2020, 12:55

La disperazione viaggia con la birra: la testimonianza del lusernese Paolo Ravera

L’autotrasportatore spesso raggiunge l’Inghilterra per i rifornimenti, attraversando il canale della Manica e la “giungla” di Calais. È di qualche settimana fa l’ultimo episodio di migranti saliti sul suo camion di nascosto

La disperazione viaggia con la birra: la testimonianza del lusernese Paolo Ravera

Non è la prima volta che il rimorchio del suo camion veniva utilizzato dai migranti per cercare di passare il confine tra Francia e Inghilterra.

Tempo fa al lusernese Paolo Ravera era pure capitato di doverli fare scendere una volta che si erano accorti che stavano imboccando l’autostrada verso l’Italia e non verso Calais. Allora avevano dovuto rivelare il loro nascondiglio nel rimorchio bussando alla cabina dell’autista e chiedendo di scendere. Autotrasportatore, dal 1995 si reca periodicamente oltre il canale della Manica per rifornimenti di birra attraversando quella che viene definito la “giungla” o l’”inferno” di Calais, ma ciò che gli è successo qualche settimana fa l’ha profondamente segnato.

«Questa volta erano sei: cinque ragazzi e una ragazza. Tutti molto giovani, forse ci sarà stato tra di loro appena un maggiorenne» ipotizza Ravera. La loro presenza nel rimorchio del suo camion è stata individuata dai cani della gendarmeria al posto di controllo francese che precede quello inglese, prima di potersi imbarcare su nave o sul treno che percorre l’Eurotunnel. Fatti scendere uno per uno, l’autotrasportatore ha incrociato i loro sguardi: «In quei momenti arrivi a pensare che vorresti sapere che sono già riusciti a passare di là, oltre il confine – racconta –. Provatissimi, erano quasi riusciti ad arrivare alla fine del loro calvario. Su quei corpi vedi i mesi di viaggi allucinanti per percorrere i migliaia di chilometri che hanno permesso di arrivare fino a lì».

Ravera ipotizza che i ragazzi siano entrati nel rimorchio la notte prima, quando si era fermato a dormire in un’area di servizio dell’autostrada a 220 chilometri da Calais: «È una zona molto ventata, spesso senti la cabina dondolare. Per questo non mi sono accorto che stavano entrando nel rimorchio, tagliando il telone e sistemandosi sui fusti della birra vuoti». Così il giorno successivo hanno percorso il tragitto stesi tra i 50 centimetri che separano i fusti dal telone, per tre ore, su un camion alla velocità di 90 chilometri orari. «Quando sono scesi, nel rimorchio ho trovato una scarpa che probabilmente uno di loro aveva perso a causa dei sobbalzi notevoli ma ciò che mi ha colpito è stato ritrovare delle bottiglie piene di urina che avevano avuto la premura di usare per non sporcare» rivela.

Negli ultimi anni sempre più migranti stanno cercando di attraversare quei «40 chilometri di mare insormontabile», così come li definisce Ravera, su gommoni o imbarcazioni, ma la tensione per gli autotrasportatori è ancora alta: «A 200 chilometri da Calais non ti puoi più fermare perché salgono sopra il camion. C’è stato un periodo addirittura in cui, fuori dall’autostrada, non potevi rallentare sotto i 15 chilometri orari perché altrimenti i migranti, che vivevano nella baraccopoli lungo la strada, provano a salire sul tuo mezzo. Dallo specchietto retrovisore li vedevo corrermi dietro».

Ed è di un paio di anni fa il tentativo di attraversamento più pericoloso: «Si erano infilati sotto il rimorchio e stavano viaggiando stesi sopra ad alcune assi. Li ho visti nello schermo durante il controllo con lo scanner che stavano facendo gli inglesi. Al posto di controllo precedente, gestito dai francesi, non si erano accorti di nulla. Gli inglesi mi hanno quindi sequestrato il telefono, messo sotto sopra la cabina, analizzato tutti gli spostamenti e le comunicazioni degli ultimi quattro giorni. Tutto per capire se ero complice».

Elisa Rollino

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