Il Nazionale

Cronaca | 01 luglio 2020, 10:21

Su Bra l'ombra dell’ndrangheta: anche un assessore tra gli indagati dalla Dda di Torino

Scambio elettorale politico mafioso è l’accusa ipotizzata nell’avviso di garanzia che gli inquirenti hanno recapitato all’esponente Pd Massimo Borrelli. Nell'inchiesta anche i nomi di due carabinieri all'epoca dei fatti in servizio presso il comando cittadino dell'Arma

Su Bra l'ombra dell’ndrangheta: anche un assessore tra gli indagati dalla Dda di Torino

Scambio elettorale politico mafioso. E’ questa l’accusa che peserebbe sul capo di Massimo Borelli, assessore nella giunta di Gianni Fogliato, al suo secondo mandato con deleghe a Grandi Eventi, Mobilità, Sport, Rifiuti e Ambiente.

Quarantadue anni, esponente del Partito Democratico, dal 1999 dipendente di Slow Food, Borrelli sarebbe uno dei destinatari della ventina di avvisi di garanzia consegnati ieri nell’ambito dell'operazione con la quale nella giornata di ieri, martedì 30 giugno, Polizia e Carabinieri, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Torino, hanno eseguito 12 arresti (8 in carcere e 4 ai domiciliari), tra i quali spiccano quelli di Salvatore e Vincenzo Luppino, fratelli originari di Sant'Eufemia d'Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria, da tempo residenti nella città della Zizzola, per gli inquirenti giudicati il vertice della cellula dell’ndrangheta "attiva in città da almeno cinque anni": "la prima scoperta in provincia di Cuneo", secondo gli uomini del Comando provinciale dei Carabinieri.

Un’organizzazione dedita ad attività criminali quali lo spaccio di stupefacente, con ramificazioni in tutto il Cuneese e nel Torinese, che secondo gli inquirenti avrebbe avuto una delle proprie basi logistiche proprio a Bra, presso il circolo Arcobaleno di via XXIV Maggio, locale privato gestito da Carmelo Luppino, altro esponente della famiglia, anche lui indagato.

All’assessore, in Comune dal 1999 come consigliere comunale,  viene contestato di aver intrattenuto rapporti con la famiglia 'ndranghetista. In particolare, sempre secondo quando emerso dall’indagine partita nel 2016 sulla scorta delle rivelazioni fatte dal collaboratore di giustizia Domenico Agresta, detenuto a Saluzzo per omicidio, l’assessore braidese avrebbe incontrato Salvatore Luppino durante un permesso premio di quest’ultimo, ai tempi detenuto nella stessa casa circondariale dopo essere arrestato nell'inchiesta "Vangelo" della Dda di Reggio Calabria.
Luppino avrebbe chiesto all’allora esponente della Giunta Sibille la possibilità di un lavoro che gli avrebbe consentito di poter accedere alla semidetenzione. In cambio avrebbe offerto un pacchetto di voti. "Se mi aiutano bene, altrimenti raccolgo i voti agli altri", avrebbe spiegato Luppino, intercettato mentre parlava al telefono con un’amica.

Tra i personaggi coinvolti dell’inchiesta coordinata dai pm Stefano Castellani e Paolo Cappelli figurano anche cinque rappresentanti delle forze d’ordine.
Tra questi tre Carabinieri, due dei quali in servizio proprio presso il Comando braidese, cui viene contestato di avere permesso all’organizzazione criminale di accedere a informazioni privilegiate e coperte da segreto. Si tratta degli appuntati Davide Radice e Vincenzo Gatto, ora accusati di favoreggiamento personale e rivelazione di segreti d’ufficio aggravata.

Sarebbe anche grazie a loro, si apprende sempre dalle carte dell’inchiesta, che Luppino avrebbe saputo di controlli in corso sul figlio. Un terzo carabiniere, il vicebrigadiere Gerardo Infante, all’epoca dei fatti in servizio alla compagnia di Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria, è accusato anche di accesso abusivo ai sistemi informatici, azione intrapresa sempre col proposito di passare ai Luppino informazioni riservate su indagini in corso.

Due agenti della polizia penitenziaria di Saluzzo, Mario De Nunzio e Rosario Rossi, sono invece accusati di corruzione aggravata per aver fornito "assistenza economica e materiale" a Salvatore Luppino e ad altri. In particolare avrebbero fatto entrare nella casa circondariale dove questi era detenuto alcolici e coltelli, rivelando anche l’esistenza di microspie in cella.

E. M.

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