Nel cortile di via Rubiana 41 bis, a Pozzo Strada, il Natale non arriva all’improvviso. Qui comincia piano, già dai primi giorni di novembre, quando Giuseppe e Francesco Mazza, padre e figlio, iniziano a immaginare come sarà il presepe di quell’anno. Ci vogliono quasi trenta giorni di lavoro, pazienza e una passione che dura dal 2007, anno in cui, insieme a Fiorenza Mazza, nacque l’idea di trasformare un semplice cortile in un luogo capace di raccontare una storia.
La 19esima edizione
Quella di quest’anno è la 19esima edizione, saltata solo durante il periodo del Covid. Un appuntamento che, con il tempo, è diventato una piccola tradizione di quartiere, fatta di luci che si accendono al calare del buio e di curiosi che si fermano a osservare ogni dettaglio. Il presepe occupa quasi trenta metri quadrati e si sviluppa su tre livelli, per ricreare un paesaggio collinare e montuoso. Nulla è lasciato al caso: il terreno deve essere stabile, pianeggiante, capace di sostenere una struttura complessa che cresce anno dopo anno. È un lavoro a sei mani, portato avanti da Giuseppe, oggi settantenne e vero ideatore del progetto, insieme al figlio Francesco, che condivide con lui la costruzione e tutta la parte elettrica. Le casette, oltre sessanta, resistono alle intemperie perché realizzate in polistirene e sono dipinte a mano dallo zio Fernando D’Amato, che trasforma ogni edificio in un piccolo pezzo unico.
La mappa nel presepe
Dentro il presepe convivono le statuine tradizionali e una mappa affettiva che racconta le origini della famiglia. C’è il Monviso, simbolo del Piemonte, da cui scende acqua vera, a rappresentare il Po che nasce e attraversa la pianura. Poco più in là il vigneto lascia colare vero Barbera dalla botte, accanto alla polenta che richiama la cucina di casa. Il viaggio continua verso sud. In Basilicata compare una chiesa che ricorda la cattedrale di San Gianuario di Marsico Nuovo, il paese della mamma. In Campania, terra dello zio, trovano spazio gli orti e i broccoli di Paternopoli, mentre la Calabria è raccontata attraverso le sue tradizioni più forti: il maiale appeso, i funghi sotto gli alberelli, scene di vita quotidiana che parlano di memoria e radici. Tra le montagne e i vicoli spunta anche un castello medievale, simbolo del castello di Erode, inserito come elemento scenografico che rompe l’armonia del paesaggio e ricorda il lato più oscuro del racconto natalizio.
Le donazioni
Alcune statuine prendono vita. Sono meccanizzate, animate nei gesti quotidiani: il fornaio, la pescivendola, il vasaio, l’uomo che prepara la polenta. Arrivano da una donazione della signora Antonella, così come altre figure che negli anni hanno arricchito la scena. C’è anche una statua in legno del 1900, silenziosa e preziosa, che porta con sé il peso del tempo.
L’illuminazione
Quando tutto è pronto, le luci fanno il resto. Trecento metri di cavi illuminano il presepe, valorizzando ogni angolo, ogni tetto, ogni sentiero. I materiali sono quelli semplici di una volta: bambù, legna, muschio, pietre, terra e paglia. Nulla di artificiale, se non la pazienza necessaria a tenere insieme tutto. Così, nel cortile di via Rubiana, il Natale non è solo una festa. È un racconto che si ripete, anno dopo anno, e che continua a crescere insieme alla famiglia che lo costruisce.

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