Puoi essere un buon giornalista, segugio della notizia, penna sopraffina, memoria storica. E poi c’è la passione. Qualcosa che fa sì che uno come il Caio, Francesco Caielli, che del basket conosce anche le più polverose soffitte, chiedesse una mano al giovane Fabio per stilare le pagelle dei giocatori a fine partita, predicendogli un luminoso avvenire come cantore della palla a spicchi.
Cosa puntualmente avvenuta, perché il Gandini ha costruito, pagina dopo pagina, fatica dopo fatica e notte dopo notte, il monumento alla Pallacanestro Varese, sciorinandone gli 80 anni in sospensione e regalando agli appassionati un libro che rimarrà negli annali. Se non hai il fuoco dentro non lo fai, e qui si vede la precisione del cronista, la bella scrittura, la volontà di informare anche chi del basket sa poco o niente, perché la passione è contagiosa e tutto travolge e migliora.
“Romanzo varesino – L’incredibile storia della Pallacanestro Varese in 80 ritratti”, pubblicato dal Gruppo Editoriale “More News”, editore del nostro giornale, è un lungo racconto fatto di fede e volontà, di impegno del collettivo, di amore condiviso di una città per i suoi eroi del parquet, di un uomo, come Toto Bulgheroni che mastica pallacanestro dall’adolescenza e a 82 anni dispensa consigli e saggezza, lui che a 18 già difendeva i nostri colori, il più giovane giocatore della nostra storia a debuttare in gara.
Ieri alla Libreria Ubik di Varese, Fabio Gandini, Francesco Caielli in veste di intervistatore, Max Ferraiuolo e lo stesso Bulgheroni hanno tenuto a battesimo il libro, dal formato simile a un’agenda, copertina nera con 80 ideali palloni quanti sono i personaggi tratteggiati dall’autore, e un’impostazione grafica originale, con un carattere tipografico (e le sue… caratteristiche spiegate) per ogni giocatore, scelta voluta da Patrizia Pfenninger, art director che lo ha impaginato.
«Ho percepito subito la passione di Fabio, abbiamo scelto di non mettere fotografie nel libro, tranne le due iniziali di Meneghin padre e figlio, puntando su un formato quasi intimo, che invita a una lettura attenta e profonda», ha detto l’artista ticinese.
«Qui ci sono 80 storie», ha esordito Caielli, «ma dovrebbero essere 81, perché l’ottantunesimo è Fabio Gandini, capace di raccontarne una unica e irripetibile, quella di una società capace di trionfare nel mondo». Già, perché si parte dall’inizio, da un certo John G. Mascioni, ufficiale alleato delle truppe d’occupazione di stanza a Trieste, desideroso di conoscere le proprie radici in Valcuvia, che scopre poi che a Varese si gioca a basket ed eccolo in squadra, primo straniero della storia. Ottant’anni sono tanti, ma Fabio si è districato a meraviglia tra nomi e ruoli - durante la presentazione si è ricordato il grande Sandro Galleani - incominciando con Mascioni, Tracuzzi e Gualco e terminando con Luis Scola e Colbey Ross, ovvero l’oggi, passando naturalmente per la squadra mostruosa che mise in riga i più forti del mondo con gente come Morse, Raga, Ossola, Rusconi e Meneghin, e quella dell’ultimo scudetto del ’99 con il “Poz”, Cecco, Menego e De Pol a fare da trascinatori.
«È stato più bello che faticoso scrivere questo libro», ha detto un emozionato Gandini davanti al sindaco Davide Galimberti e al vicesindaco Ivana Perusin; «una bellezza e un privilegio. Andare al palazzetto “Lino Oldrini” e vedere quegli stendardi appesi è una sensazione meravigliosa, nessun’altra squadra li può vantare. La parola romanzo dà infatti l’idea della vicenda unica della Pallacanestro Varese, la squadra che è stata la più forte del mondo. Il libro non contiene una serie di biografie, ma una storia che ne accompagna una più grande, ho puntato soprattutto sull’aspetto umano e agonistico dei protagonisti».
Max Ferraiuolo - di cui ricordiamo la “Duetto” rosso fuoco con il nome “tatuato” sulla portiera spesso parcheggiata in centro - è un altro che di passione ne ha da vendere, da sempre incollato ai colori varesini, fin dai tempi della palestrina di via Rainoldi dove si allenava ragazzo. «La nostra “DiVarese” non vinse nulla, ma segnò un’epoca, era una squadra di varesini fatta da varesini, ragazzi venuti su dal settore giovanile, con Bulgheroni a fare da mentore. La gente ci riconosceva per strada, ci vedeva magari passeggiare per corso Matteotti, sapevamo di far parte di qualcosa di grande», ha spiegato Max, che nel 2026 festeggerà i 40 anni con la Pallacanestro Varese.
Siparietto finale con Fabio Gandini, invitato da un appassionato a indicare un giocatore da aggiungere ai due Meneghin, Dino e Andrea, nella “hall of fame” di sempre, e il presidente Toto Bulgheroni. Fabio senza esitare ha indicato Gianmarco Pozzecco, subito stoppato da Toto, che con calma ha dichiarato: «Perché non hai mai visto giocare Aldo Ossola, con tutto il rispetto per il Poz siamo su un altro pianeta». E ha aggiunto: «L’attuale proprietà Scola è intenzionata ad andare avanti nella maniera migliore, occorre pazienza, ma il lavoro è in corso e con l’ingresso in società di Paolo Orrigoni c’è la dimostrazione di come un’altra famiglia varesina creda fermamente nel nostro basket. Però ho detto a Scola: fai alla svelta, perché ho già una certa età».
Chi ama la Pallacanestro Varese, con i più attempatelli che hanno vissuto i fasti della Grande Ignis, è lì che freme per ritornare sul tetto del mondo, e libri come questo aiutano a sperare e spingono a ricordare sudore e sacrificio, attaccamento alla maglia e voglia di vincere, cosa che non è mai mancata dal 1945 a oggi. Caro Fabio, ti aspettano altre pagine da scrivere e pagelle da compilare a fine gara, il basket, come il Sacro Monte e il lago, è nel sangue e nella mente di chi ama Varese, e 80 anni sono ancora troppo pochi.












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