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Basket | 21 dicembre 2025, 23:26

Quei giorni in cui un po’ tutti nasciamo Tazé Moore

IL COMMENTO DI FABIO GANDINI - Il secondo tempo di oggi non è stata una vittoria: è stato un paradigma di ciò che Varese potrebbe diventare se mettesse a posto tutti i suoi tasselli. Nel frattempo ci accontenteremmo di essere come quel giocatore che fa e disfa, ma cerca sempre di lasciare un segno in quello che fa

Quei giorni in cui un po’ tutti nasciamo Tazé Moore

Senza Renfro (perno difensivo), dietro le spalle un primo tempo di basket offensivamente pornografico (12 palle perse), in svantaggio di cinque punti contro un’avversaria più forte, più lunga, più tutto, almeno sulla carta, ma non certo nella sua forma migliore, fisica e psicologica: durante l’intervallo chi avrebbe scommesso su una vittoria?

E infatti non è arrivata una vittoria: è arrivato un paradigma. Di quello che questa Varese potrebbe diventare se tutti i tasselli iniziassero a combaciare a dovere. Di ciò che questa squadra che ha messo la difesa davanti a tutto - e che da essa è rinata come un’araba fenice, risorgendo come un fiore di De André dall’ormai consueto e traballante autunno - potrebbe combinare se trovasse un equilibrio anche in attacco, una produttività senza strappi, una costanza balistica.

Cinquantadue punti segnati, velocità, triple, coraggio, passaggi, un attivatore come si deve (Iroegbu: 9 assist), tante frecce all’arco: quanto nel secondo tempo odierno ci sia dell’arrendevolezza triestina (che è un peccato mortale, visto cosa è stato capace di costruire ancora una volta a livello di nomi Michael Arcieri in sede di mercato…) e quanto invece di fragranza e autenticità biancorossa lo diranno il tempo e l’incedere delle due squadre, ma è certo che la Openjobmetis  di questa domenica che Dio ha mandato in terra abbia dato per la prima volta un’impressione di forza, di cattiveria, di speranza.

Nel futuro.

La stessa che dà una società ritornata tanto varesina grazie all’ingresso di Paolo Orrigoni - da quanto un singolo imprenditore non si esponeva così tanto per i destini cestistici di questa città? - eppure sempre più apprezzata anche fuori dai confini del feudo, “venduta” come bella, grande,  interessante, possibile e futuribile, a chi nemmeno la conosce perché sta dall’altra parte del mondo, dal sogno di un uomo che si chiama Luis Scola.

E se lui sogna per noi, forse è il caso di seguirlo con emozione e fiducia, lasciandosi trasportare dalla sua visione, pur senza dimenticarsi - e nessuno se lo dimentica - che ai suoi anni manca ancora la cosa più importante: le soddisfazioni sportive, le vittorie, la pelle d’oca di un palazzetto finalmente contento.

Mancano i secondi tempi come quello di oggi. Tanti, sempre di più.

Chissà se quella contro Trieste è stata davvero un’Epifania. Nell’attesa di scoprirlo ci accontenteremmo di nascere ogni giorno come Tazé Moore: matti, sbandati, imprecisi, sempre alla ricerca di un senso, sempre con difficoltà a trovarlo, sempre pronti a perderlo per strada, ma - in tutto questo - anche veri, vivi, pronti ad azzannare le partite, la vita, gli avversari, i ferri che rimbalzano i nostri tiri (veri e metaforici che siano), riconoscibili e senza fiato, ma solo perché abbiamo dato tutto.

La perfezione non è di nessuno, Tazé Moore siamo invece tutti noi, nei giorni in cui proviamo davvero a lasciare un segno su questa esistenza.

Fabio Gandini

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