Ieri, 15 dicembre, andata in scena quella che il sindaco Maurizio Rasero non ha esitato a definire “la questione più importante degli ultimi trent’anni e dei prossimi venti”. Nel cuore politico della città a palazzo Mandela, i vertici di Banca di Asti e della Fondazione CrAsti hanno svelato le carte davanti alle commissioni consiliari riunite in seduta congiunta. Un incontro a porte chiuse, richiesto dal consigliere del Pd Luciano Sutera, per discutere la possibile cessione del pacchetto azionario detenuto dalla Fondazione e il mandato esplorativo affidato a Equita.
I protagonisti di questo “duello” a distanza — le audizioni sono infatti state separate — sono stati da una parte il presidente della banca Giorgio Galvagno e l'amministratore delegato Carlo Demartini, dall'altra il presidente dell'ente di origine bancaria Livio Negro. Due visioni del futuro che dovranno necessariamente trovare una sintesi per il bene del territorio.
Il commento del sindaco
All'indomani dell'incontro, il primo cittadino traccia un bilancio positivo, sottolineando l'eccezionalità dell'evento. “È stato un momento importante, non scontato, perché non è detto che avremmo potuto avere la disponibilità di entrambi di intervenire — dichiara Maurizio Rasero — Ringrazio sia la banca che la fondazione per essersi prestati: sicuramente i consiglieri da ieri hanno elementi in più per fare dei ragionamenti e per decidere come approfondirli”.
L'obiettivo ora è spostare la discussione sul piano politico. “Questa è la prima fase di un confronto che prima è stato di ascolto — prosegue il sindaco — A gennaio ci sarà un incontro fra tutte le forze politiche dove, alla luce delle cose che abbiamo sentito, ci confronteremo per vedere se la pensiamo allo stesso modo”.
Tuttavia, l'unanimità appare lontana. Secondo quanto emerso ci sono posizioni diverse sia all'interno del centrodestra che del centrosinistra con visioni differenti anche nei confronti di chi è apertamente per la cessione della banca.
I numeri della banca
Durante l'audizione, l'amministratore delegato Carlo Demartini ha difeso con i numeri il modello attuale, respingendo l'idea che l'ingresso in un grande gruppo sia l'unica via per la salvezza. “Bisogna smascherare falsi miti”, ha sostenuto, precisando che il protocollo Mef non impone vendite immediate.
A parlare sono stati i dati sui dividendi: dai 14 milioni del 2011 ai 28 milioni del 2024 (pari a 0,40 euro per azione), con oltre 2 miliardi di euro di valore aggiunto generato in un decennio. Il manager ha rivendicato la scelta di trattenere utili per rafforzare il patrimonio, rendendo l'istituto uno dei più solidi in Italia, e ha messo in guardia dai rischi delle fusioni che spesso cancellano la presenza territoriale.
La visione della Fondazione
Di tenore opposto l'intervento di Livio Negro, che ha ribadito quanto già espresso nella sua nota pubblica: la necessità di avere “il coraggio del cambiamento”. Per la Fondazione, il nodo cruciale resta l'eccessiva concentrazione del patrimonio in un unico asset (la banca), una strategia che oggi rischia di limitare la capacità di erogazione e di sostegno al territorio.
Il presidente ha ricordato come le linee guida Acri–Mef spingano verso un bilanciamento tra radicamento locale e diversificazione finanziaria. Il confronto con altre fondazioni piemontesi, che grazie a scelte diverse riescono a garantire rendimenti superiori, è stato uno dei punti cardine del suo ragionamento. La sfida lanciata da Negro è chiara: uscire dall'immobilismo per garantire un futuro sostenibile non solo alla banca, ma all'intera comunità astigiana.



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