Il prurito di piacere è stata una sensazione precoce oggi al PalaLeonessa, tempo della prima azione difensiva biancorossa, tempo di ammirare Renfro difendere davanti a Bilan, negando il passaggio dentro a quest’ultimo fino a 5” dal termine dell’azione, conclusasi nella fattispecie con un errore del fenomeno bresciano.
Dal prurito al fremito, qualche azione dopo: ecco Alviti che raddoppia la marcatura di Nkamhoua sullo stesso Bilan nel momento in cui lo stesso si gira verso il canestro. Palla persa Brescia.
Dal fremito all’onda di godimento, a fine secondo quarto, quando Kastritis ricorre addirittura al carneade Ladurner - ovvero al fisico e ai centimetri, pur appartenenti a un vero rincalzo - per cercare di fermare la potenza dei padroni di casa sotto le plance (peraltro ricevendo in cambio 4 punti e due ottime difese).
Sogniamo o siam desti?
La morale è che dopo due anni e mezzo una versione di Varese è riuscita ad affrontare in modo tatticamente adeguato una sfida contro la Germani: ci accontentiamo di poco, penserete voi, ma per noi - dopo esserci mangiati il fegato nel frattempo, dopo aver visto i fatti contestati dalle opinioni - questa vale come una vittoria. Una vittoria che spiega due anni e mezzo di “al lupo al lupo” - assai indigesti ancora oggi ai piani altissimi, ma tant’è… - gridati al cospetto della sconsiderata e talebana applicazione di una filosofia di gioco che contro ogni squadra fisica di questa Serie A si è cercata da sola ogni disgrazia. È questo, se non si è capito, che non è mai andato giù, a noi e a molti altri; è il voler complicarsi la vita a tutti i costi, non ammettendo di sbagliare, che ha portato a formulare giudizi aspramente negativi nel complesso delle stagioni precedenti; sono i 116-73, i 118-94, i 77-118 (gli ultimi tre risultati ottenuti contro Brescia prima di oggi) e tutte le altre sconfitte da Guinness dei primati (basta guardare il libro dei record) collezionate a non essere mai piaciute (e non le sconfitte in quanto tali); è il non aver mai ammesso di aver preso una strada tecnica - introdotta dalla nouvelle vague societaria - problematica e sempre uguale a dipingere il quadro delle doglianze.
Nient’altro.
Il ravvedimento operoso c’è stato, però, ed è l’unica cosa che conta. E il ravvedimento operoso si chiama Ioannis Kastritis (e un bravo a chi infine lo ha scelto, si capisce), il primo allenatore dell’era Scola (l’anno di Brase, per mille ragioni, va escluso) a cercare di risolvere le enormi trappole di Brescia e delle formazioni pesanti e fisiche alla sua stregua. C’è riuscito? Sì, c’è riuscito: lo dimostra un Bilan ai minimi stagionali, lo dimostra la Varese che perde solo di otto, lo dimostra la Openjobmetis che, nonostante non sia stata perfetta, è rimasta in partita fino al 40’.
Non è riuscito a vincere, coach K., ma per vincere in casa di una squadra quadrata, fragorosa e imponente quando gioca a memoria, piena di individualità e trascinante nel suo incedere devi essere perfetto. Le 17 palle perse son lì a dire che la sua Varese non è stata perfetta. Ma a tratti è stata gagliarda, vera, impegnata, seria: i suoi tifosi non chiedono di più.
Ci sono successi che non dicono abbastanza (Cremona), e sconfitte che dicono qualcosa (Brescia): dicono che bisogna continuare così, mettendo però nel mirino un attacco che continua a procedere a strappi.
PS: c’è un caso Moore? E perché è nato? E come si risolverà? Aspettiamo spiegazioni.



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