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Sport | 18 novembre 2025, 07:40

Il campione "designer" Andreoni accende il fuoco olimpico: «Le torce? Un inno allo stile italiano. Quella sfida tra noi dello sledge e i Mastini finita 1-1. La nazionale di para ice hockey merita più di un "bravi"...»

Il varesino Alessandro Andreoni non è solo uno dei trascinatori degli azzurri di para ice hockey che hanno vinto il mondiale gruppo B tornando nei grandi, ma lavora anche nell'area design (è laureato al Politecnico) che ha creato i simboli di Milano Cortina, torce comprese: «È nato tutto in maniera super casuale... io e i miei compagni Lanza e Macrì abbiamo mandato il curriculum e siamo stati presi tutti e tre. L'oro di Astana per noi non è stato un miracolo, ma un obiettivo da centrare in vista delle Paralimpiadi di marzo: qualcuno però non si è neppure accorto della vittoria... I Mastini stanno bene assieme e si divertono: che mani Bastille»

Il campione "designer" Andreoni accende il fuoco olimpico: «Le torce? Un inno allo stile italiano. Quella sfida tra noi dello sledge e i Mastini finita 1-1. La nazionale di para ice hockey merita più di un "bravi"...»

Se potessimo strofinare la lampada, uscirebbe lui e realizzerebbe i desideri. Non qualcosa di frivolo o materiale, perché Alessandro Andreoni - campione varesino e azzurro di quello che noi continuiamo a chiamare sledge hockey (Alessandro è nato con la spina bifida) e designer anche delle torce olimpiche - è anima, umanità e resistenza allo stato puro. Da una bambina che lo ascoltò alle scuole materne di Luvinate arrivò forse la frase più bella e spensierata su di lui (le cose migliori arrivano sempre dai più piccoli): «Ci ha fatto sognare e scoprire tante cose». Ecco, Andreoni è così: cerca un sogno dietro alle piccole cose che racchiudono i grandi valori e le vere soddisfazioni della vita, così come in quelle giganti come le Olimpiadi (dal 6 al 22 febbraio 2026) e le Paralimpiadi (dal 6 al 15 marzo) di cui lui è parte integrante non solo come atleta. Fossimo nel Paese perfetto, sarebbe da ospitare in tutte le scuole come portatore unico di esperienze, sacrifici, motivazione e, a tutto tondo, vita per quanto sa entrare in sintonia con i giovani e con chiunque abbia di fronte.  Dategli una squadra (una classe) e la trasformerà in un gruppo, consegnategli una prova e la farà diventare la sfida di tutti.

Alessandro Andreoni, dall'hockey in carrozzina al tuo lavoro di designer approdato anche a Milano Cortina: com'è nato il lavoro a cinque cerchi?
Ormai sono più di tre anni che lavoro per Milano Cortina 2026. È nato tutto in maniera super casuale, nel villaggio paralimpico di Pechino 2022. Con i miei compagni stavamo andando in mensa a mangiare quando abbiamo incontrato la delegazione dell’allora comitato organizzatore di "Milano Cortina", che nel 2022 era ancora una realtà nascente. Ci siamo salutati, scambiati i contatti e tornati in Italia - siccome il nostro sport non permette di campare solo con quello - io e due miei compagni di nazionale abbiamo provato a scrivere loro una mail con i nostri tre curriculum. Ci chiamarono, ognuno di noi fece un colloquio diverso, perché ognuno aveva un background diverso. E siamo stati presi tutti e tre: io, Gabriele Lanza e Andrea Macrì.

Tu, in particolare, di cosa ti occupi?
Sono entrato nell’area del design. Ho una laurea in design della comunicazione al Politecnico di Milano e nel 2022 stavo studiando per la magistrale in product service system design: mi mancavano un esame e la tesi, ma quando è arrivata l’offerta non potevo rifiutare. Quindi per ora quel percorso è in pausa: spero di chiuderlo a settembre 2026, dopo le Paralimpiadi, perché ci tengo. Ho iniziato il 16 giugno 2022 a lavorare nel team di design, che in questi anni ha realizzato praticamente tutti gli asset a cinque cerchi. Abbiamo lavorato sulla mascotte (Tina per le Olimpiadi, Milo per le Paralimpiadi e i loro compagni floreali), sulla torcia - che abbiamo presentato ad aprile e che a settembre ha ricevuto all'Expo di Osaka una menzione d’onore dal Compasso d’Oro - e poi anche su medaglie, podi, oggetti, grafiche, font.

Hai portato le torce a Varese in occasione della Fiera e lo rifarai il 14 gennaio quando la fiamma olimpica farà tappa in città.
Appena Matteo Cesarini (responsabile Varese Sport Commission for Winter Games 2026) mi ha chiesto se ci fosse l’opportunità ho detto “assolutamente sì”, anche perché mercoledì 14 gennaio la fiamma olimpica passerà da Varese. Le torce esercitano ancora un grande fascino, trasmettono magia. La fiamma olimpica si accende a Olimpia e da lì non si deve più spegnere. Durante la staffetta c’è sempre una lanternina accesa da cui si accende la torcia del giorno successivo. È qualcosa di unico, molto magico. Per le Paralimpiadi sarà diverso: non c’è una sola fiamma, ma più cerimonie diffuse in diversi punti, mentre per le Olimpiadi resta solo quella di Olimpia.

Chi accenderà il braciere alla cerimonia d’apertura del 6 febbraio a San Siro?
Non si saprà fino a un minuto prima. L’ultimo tedoforo che arriverà a San Siro e accenderà il braciere è uno dei segreti custoditi più gelosamente: di solito non è un atleta in gara in quell’edizione, ma una figura con grande rilevanza sportiva o sociale.

E a Varese, mercoledì 14 gennaio, cosa accadrà?
Non so ancora i dettagli, ma la fiamma arriverà qui e sarà una giornata di festa. I tedofori attraverseranno diversi punti della città e ci sarà un luogo di celebrazione, probabilmente con una piazza e degli stand.

Raccontaci la filosofia dietro al design delle torce.
Lo abbiamo chiamato The Essential. Abbiamo voluto un design semplice e pulito, ispirato all’italianità e allo stile italiano: cura del dettaglio e ricerca della sobrietà. Non a caso un marchio prestigioso come Armani è partner del progetto. La forma della torcia ripercorre gli elementi tecnici che servono al suo funzionamento: l’impugnatura è dimensionata per adattarsi a mani diverse, la parte centrale si allarga per contenere bombola e bruciatore, il taglio sul retro fa entrare l’aria e in cima si apre per far salire la fiamma in modo visibile. Cambia la colorazione delle due torce con le sfumature dell'azzurro che simboleggiano i cieli e i paesaggi di tutta l'Italia che verrà attraversata dal passaggio della fiamma olimpica, mentre quella paralimpica ha un colore bronzeo che rappresenta la forza e la resistenza dei territori italiani e degli atleti paralimpici.

I tuoi compagni che ruolo hanno?
Gabriele Lanza lavora nella logistica, Andrea Macrì invece nell’area Legacy, fondamentale per studiare la sostenibilità economica, ambientale e sociale dei Giochi. L’obiettivo è lasciare qualcosa ai territori: podi e strutture verranno ricollocati, gli eventi education e culturali avranno un seguito. Anche le torce sono state prodotte in numero limitatissimo, solo quelle necessarie.

Da dentro senti che le Olimpiadi sono percepite anche fuori?
Difficile dirlo, ma noto che i partner commerciali sono molto attivi: siamo su volantini Esselunga e sulle campagne di Grana Padano, ci sono iniziative con i Comuni di Milano, Cortina e altri territori. L’organizzazione è a pieno regime da oltre un anno e ora si percepisce più attenzione mediatica, per fortuna non più solo per alcuni aspetti legati magari alle infrastrutture, che comunque non sono di nostra competenza.

I Mondiali Gruppo B di Astana, in Kazakistan, sono stati vinti dalla tua nazionale di Para Ice Hockey, che ha riconquistato l'élite del movimento. Perché non ha avuto il seguito e l'attenzione meritati, nonostante l’anno olimpico?
Da dentro abbiamo vissuto tutto con realismo: per noi non era un miracolo, ma un obiettivo concreto. Dovevamo vincere tutte le partite, fare tanti gol e subirne pochi. Ce l’abbiamo fatta. Però abbiamo festeggiato con pacatezza perché il vero traguardo è marzo 2026, non questa medaglia. Se l'invito a San Siro di qualche giorno fa e l'abbraccio dell'Inter durante la partita con la Lazio, ma anche del Milan, ha fatto enorme piacere ed è stato un attestato bellissimo, si è sentita poca vicinanza dalla Federazione. Ci aspettavamo almeno un messaggio ufficiale, non solo un “bravi” dal nostro consigliere federale. Dal CIP (il Comitato Italiano Paralimpico) non è arrivato nulla: io sono rappresentante atleti della FISG nel consiglio nazionale CIP e percepisco questa distanza, si parlano pochissimo. Stiamo cercando di produrre un docufilm sulla nostra nazionale, ma anche qui manca l'appoggio. Per fortuna abbiamo un gruppo coeso e due nuovi innesti (Nico e Sandro Calegaris) che ci danno forza.

Vi vediamo spesso in pista al palaghiaccio di Varese, culla dello sledge grazie alla Polha: è capitato anche di allenarvi assieme ai Mastini dell'hockey primi in classifica. Com'è andata?
È stato molto bello. L’idea nasce da Massimo Da Rin, che è il nostro direttore tecnico e allena i Mastini. Grazie a una legge sui permessi sportivi oggi possiamo allenarci due volte in più alla settimana, mercoledì e venerdì mattina. Lui ha unito le cose: i Mastini hanno poco ghiaccio, noi siamo pochi, quindi allenarsi insieme è un vantaggio reciproco. Loro pattinano più veloci e ci aiutano ad alzare il ritmo, magari aggiungendo un portiere.

Vi siete anche sfidati: chi ha vinto?
È stata una sfida ai rigori: chi segnava, poteva tirare di nuovo. Abbiamo rischiato di vincere, ma alla fine Perino ha segnato il gol del pareggio: 1-1.

Da Rin che allenatore è?
La sua forza è che per lui non c’è differenza: Mastini o Nazionale Paralimpica, siamo tutti atleti. Abbiamo caratteristiche tecniche diverse, ma per lui è sempre hockey. Ai Mastini, quando si sono allenati con noi, ha detto: «Valutate la loro velocità e precisione nei passaggi». Per noi serve più attenzione perché abbiamo meno margine d’errore. Noi e Da Rin ci siamo sempre rincontrati.

Prima del via alla stagione avevi visto giusto sui Mastini: ricordi cosa ci avevi detto?
È un gruppo che conosco bene, sta bene assieme e si divertirà. Anche con i nuovi innesti: da Terzago al canadese Bastille, che ha due belle mani e può fare la differenza. Quando posso, vengo sempre a vederli: vivo a Milano ma torno spesso a Varese, dai miei.

Andrea Confalonieri

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