“La sera prima mia moglie non stava bene. Le ho fatto una doccia e quando lei si è seduta in cucina io ho preparato la colazione per il giorno dopo. Ho messo sulla tavola i biscotti che lei amava di più”.
È iniziato così il racconto di Ernesto Bellino, il pensionato settantaseienne accusato di fronte alla Corte d’Assise del tribunale di Cuneo di aver strangolato e ucciso sua moglie Maria Concetta, da qualche anno malata di Alzheimer nella loro casa a Beinette.
L’omicidio risale al giugno 2024 e, da quel momento, l’uomo si trova agli arresti domiciliari in una Rsa di Peveragno. Alla prossima udienza, già in calendario per mercoledì 19 novembre, l’imputato verrà interrogato sia dal suo difensore, l’avvocato Fabrizio Di Vito e dal legale del figlio, l’avvocato Enrico Gaveglio. L'uomo, reo confesso, a seguito di una perizia psichiatrica, al momento dei fatti era stato ritenuto capace di intendere e volere.
A prendere la parola prima del signor Bellino era stato Antonio, suo figlio, costituitosi parte civile contro di lui. “Sento che lo devo fare - aveva motivato la sua scelta davanti ai giudici - Lo vado a trovare in residenza perché comunque è sempre mio padre”. Antonio, nel corso del suo interrogatorio, aveva descritto il matrimonio dei suoi genitori come “burrascoso” e contornato da discussioni continue. “Sembrava che non sapessero stare senza litigare - aveva ricordato- Non sapevano vivere senza”.
E di litigi, l’ultimo avuto proprio con sua moglie prima di ucciderla, ha parlato anche lo stesso Ernesto Bellino. La mattina dell'omicidio, infatti, ci fu una mezza discussione, l'ennesima, che, come raccontato, scatenò la sua rabbia. Una discussione avvenuta in coda ad una “notte non facile”.
“Erano giorni che non stavo molto bene - ha ricordato il pensionato- mi sentivo molto ansioso e privo di concentrazione. Mi sono steso in soggiorno e ho chiesto a mia moglie di portarmi le gocce per l’ansia. Lei mi ha ignorato totalmente. Era chiusa nel suo mutismo totale, faceva avanti indietro imperterrita. L’unica cosa che mi ha detto è stata ‘tu non hai niente, la vera malata sono io’. Non ci ho più visto”.
Bellino ha proseguito il suo racconto spiegando di aver spinto la donna mandandola a terra e di averla poi afferrata per il collo: “Non ho capito più niente - ha ammesso - pensavo solo alle parole che mi aveva detto, nonostante avessi cercato di aiutarla e di vivere con lei: ma voleva una vita diversa, quella che non ha mai avuto”.
“Quello che mi ha scatenato la rabbia è stata principalmente la frase che ho sentito - ha ribadito Bellino -, in quel periodo avevo difficoltà anche ad uscire di casa e incontrare la gente. Anche la badante lo aveva capito. Dopo aver sbattuto contro lo stipite della porta si è girata e io non ho avuto neanche un ripensamento. Avrei potuto lasciarla libera e invece ho continuato fino alla fine”.
Ernesto e Maria Concetta si erano conosciuti più cinquant’anni fa. Era il 1970: lui aveva 21 anni e lei quattro in più. “Il nostro era stato un colpo di fulmine - ha ricordato l'uomo - l’avevo conosciuta in Sicilia, a Porto Empedocle, mentre ero in trasferta per lavoro. Ci siamo sposati nel 1971 e, dopo un anno, è nato nostro figlio”.
Ma quel colpo di fulmine, a detta dell’imputato, sarebbe durato appena tre mesi: poi, sarebbe subentrata la gelosia di lei. “Non aveva fiducia in me” ha spiegato, aggiungendo anche di non aver mai coltivato amicizie e relazioni al di fuori di sua moglie “perché lei era non voleva”. “Mi creava ansia quel modo di vivere brutto - ha proseguito -. Non era la vita coniugale che si dovrebbe fare. Specialmente quando si va in pensione, dopo una vita di lavoro. Non era la vita che volevo".
Quando poi arrivò la richiesta di separazione da parte di Maria Concetta, lui la convinse a cambiare idea a tornare insieme. “Perché?” Ha chiesto il pubblico ministero. La risposta: “Ho voluto troppo bene a mia moglie. Ho preferito vivere da ‘carcerato’”.








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