Il Nazionale

Cronaca | 16 ottobre 2025, 17:46

Rapinarono 50enne attirato in casa a Narzole per un incontro sessuale: condannati due ventenni residenti nel Braidese

Tre anni e quattro mesi di reclusione la pena decisa dal Tribunale di Asti. Il legale: "Non fu adescamento. Volevano punire presunto pedofilo"

Rapinarono 50enne attirato in casa a Narzole per un incontro sessuale: condannati due ventenni residenti nel Braidese

Tre anni e quattro mesi. A tanto ammontano le condanne che il giudice presso il Tribunale di Asti Matteo Bertelli Motta ha comminato nei confronti di H. N. e H. I, cittadini di nazionalità marocchina e residenti nel Braidese, rispettivamente di 21 anni e 24 anni, rinviati a giudizio su richiesta del pubblico ministero Laura Deodato con l’ipotesi di reato di rapina pluriaggravata in concorso.

La decisione del giudice è arrivata nel corso dell’udienza tenuta ieri, mercoledì 15 ottobre, presso il Palazzo di giustizia astigiano. I due erano agli arresti preliminari dal giorno del fatto a loro contestato. Le indagini erano state condotte dalla Compagnia Carabinieri di Bra, dopo che, nel marzo scorso, i militari della locale Stazione erano intervenuti nell’abitato di Narzole raccogliendo la richiesta di aiuto arrivata al 112 da un 50enne anche lui residente nel Braidese.

Quest’ultimo si trovava nel centro langarolo dopo avervi concordato un appuntamento con una 17enne, da lui contattata via chat per un incontro a scopo sessuale.

All’interno di quell’alloggio si era però ritrovato di fronte ai due ragazzi, usciti da un armadio, uno dei quali era il fidanzato della giovane. Coltello alla mano – da qui una delle aggravanti loro contestate – questi avevano costretto il malcapitato a consegnare loro i 70 euro pattuiti per la prestazione e anche a seguirli presso un vicino Bancomat per un prelievo di contanti.

Una volta usciti dallo stabile nel quale la rapina era iniziata, lungo il percorso per raggiungere il primo sportello disponibile, la vittima era però riuscita a eludere la sorveglianza dei suoi rapinatori, rifugiandosi in un bar dal quale aveva contattato il numero d’emergenza chiedendo aiuto.

A distanza di alcuni mesi dal fatto la posizione della ragazza è al vaglio del Tribunale dei Minori mentre un’altra giovane, accusata di favoreggiamento per aver occultato i coltelli usati dai due amici, è ricorsa allo strumento della messa alla prova chiedendo di poter estinguere il reato svolgendo attività di utilità sociale.

Con l’udienza celebrata ieri è invece arrivata la condanna di primo grado dei due principali imputati. H. I., assistito dall’avvocato Salvatore Bava, ha optato per un patteggiamento concordando così pena di tre anni e quattro mesi. Medesima condanna è stata inflitta dal giudice all’altro giovane, che tramite l’avvocato difensore Francesco Moramarco aveva invece optato per il giudizio abbreviato.

"Attendiamo di conoscere le motivazioni della sentenza, dopodiché valuteremo senz’altro la possibilità di proporre appello", spiega il legale, che aveva richiesto di procedere nei confronti del suo assistito non per rapina, ma per la più lieve ipotesi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

"Abbiamo cercato di spiegare che a nostro giudizio i fatti sono andati diversamente da quanto rappresentato – spiega infatti –. Le conversazioni via chat acquisite agli atti dimostrano che non si è trattato di un adescamento. Da oltre un anno questa persona mandava alla ragazza messaggi espliciti, avanzando ben precise richieste e configurando in questo modo un reato. Lei ha sempre rifiutato ogni approccio, ma lui ha continuato a insistere, ricorrendo anche ad argomenti deprecabili, come il supposto bisogno di denaro da parte di lei. E’ in quel momento che il gruppo ha deciso che era ora di punire quell’uomo, di fargli prendere uno spavento. Nessuno vuol giustificare quel gesto, ovviamente sbagliato e spropositato. Ma loro erano convinti, sbagliando, di essere di fronte a un pedofilo e di volerlo punire", aggiunge il legale. "Non c’era una volontà di volersi arricchire mentre le intenzioni punitive dei ragazzi sono comprovate anche dal video girato dalla ragazza col suo smartphone, allorquando a un certo punto è il mio assistito a spiegare alla presunta vittima di voler essere lui, a chiamare i Carabinieri. Volevano dargli una lezione che è degenerata".

IL VIDEO

Ezio Massucco

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