Mentre in consiglio regionale infuria la polemica sulla votazione di un documento legato alla strage dei kibbutz, a Palazzo Tursi l’aula rossa osserverà un minuto di silenzio per ricordare le vittime dell’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023. Un gesto simbolico, nel secondo anniversario della strage, “in ricordo di tutte le vittime e gli ostaggi israeliani e a perenne condanna delle violenze efferate subite”.
L’iniziativa, proposta dal capogruppo di Forza Italia Mario Mascia, è stata accolta questa mattina durante la conferenza dei capigruppo dal presidente del consiglio comunale Claudio Villa. “Anche alla luce del sospetto pacco bomba rinvenuto oggi nei pressi della sinagoga genovese - dichiara Mascia - è più che mai opportuno, nel secondo anniversario della strage terroristica di Hamas in terra d’Israele, ribadire con forza che Genova non sarà mai antisemita, non sarà mai dalla parte dell’odio e della violenza contro gli ebrei e contro chiunque”.
Mascia ricorda inoltre che, nella precedente seduta del consiglio comunale, era stato approvato all’unanimità un ordine del giorno straordinario per la riattivazione a Genova della Commissione Segre, dedicata al contrasto di ogni forma di odio, violenza, intolleranza, omofobia e antisemitismo.
Il discorso del presidente del consiglio Claudio Villa:
"Oggi, due anni dopo il tragico attentato terroristico del 7 ottobre 2023, ci fermiamo per un minuto di silenzio. Un silenzio che non appartiene a una sola parte, ma all’intera umanità. Oggi, questo minuto solenne è dovuto a tutti i morti innocenti. Il 7 ottobre 2023 è stato un giorno di orrore: quasi 1.200 persone sono state uccise, di cui 850 civili, e 251 persone sono state prese in ostaggio da Hamas, israeliani e non solo. Non solo di una fede, non solo di un popolo. Ed è anche questo a rendere universale la condanna, così come la necessità di agire per prevenire crimini di tale gravità. Alle famiglie delle vittime e degli ostaggi va il nostro pensiero più profondo, insieme alla speranza che i negoziati in corso possano finalmente condurre alla loro liberazione. Alle famiglie palestinesi, che hanno visto i propri figli, madri, padri e fratelli uccisi, va la stessa vicinanza e la stessa compassione. Perché nessuna vita civile dovrebbe mai essere spezzata dalla violenza e dall’ingiustizia. Dal primo momento abbiamo espresso vicinanza al popolo israeliano, condannando con fermezza gli attacchi di Hamas. Ma se il 7 ottobre è la misura del nostro orrore, la risposta di Israele è stata, sino a oggi, fuori da ogni misura immaginabile. Non c’è proporzione, ma solo violenza cieca, dove a pagare sono, ancora una volta, i civili. Le date sono come ancore nel tempo: fissano la memoria alla storia, impedendole di andare alla deriva. E noi, assumendoci anche le responsabilità di chi, ad oggi, non lo ha ancora fatto, abbiamo permesso alla deriva di diventare regola, lasciando che si compisse una punizione collettiva del popolo palestinese, lasciando che l’ingiustizia diventasse norma e l’occupazione la sua naturale conseguenza. Non si può essere indifferenti all’orrore del 7 ottobre, e tantomeno lo si può essere verso la condizione del popolo palestinese, che da oltre mezzo secolo subisce espropri, assedi e violenze sistematiche, violazioni che hanno segnato tanto il prima quanto il dopo quel tragico giorno, in un ciclo di sofferenza che continua senza sosta. Oggi, due anni dopo, assistiamo a quello che la commissione della Nazioni Unite riconosce come un genocidio a Gaza: 70 mila civili uccisi, 2 milioni di sfollati, ospedali e scuole distrutti, fame e sete usate come armi di guerra. Eppure, nel mezzo di tanto dolore, dovremmo ricordare una verità semplice che lo scrittore israeliano Amos Oz ci ha lasciato in eredità: la sola rivoluzione che non ha mai tradito l’uomo è la compassione. Ecco, questo silenzio deve nascere proprio da lì: da un atto di compassione consapevole, non da rassegnazione. Perché dietro ogni cifra ci sono volti, nomi, storie. Non numeri, ma persone: bambini che non andranno più a scuola, madri e padri che non abbracceranno più i figli, giovani che non vedranno realizzati i loro sogni. Sono vite interrotte che chiedono di continuare a vivere nel nostro agire quotidiano, nelle nostre parole e nelle scelte di giustizia che compiamo ogni giorno. Il poeta palestinese Mahmoud Darwish scriveva che anche sui muri del dolore c’è ancora spazio per la speranza, e che chi perde la speranza finisce per perdere sé stesso. Quella speranza, oggi, non è un sentimento ingenuo: è una forma di resistenza morale. È la responsabilità che abbiamo come comunità e come istituzioni. La stessa che riempie persone di ogni età e credo politico per chiedere giustizia, pace e libertà per tutti. Quelle voci che più volte hanno sfilato per le strade della nostra città ci ricordano che la solidarietà non si misura in base al passaporto o alla bandiera, ma nella capacità di riconoscere nell’altro un essere umano. Come Comune di Genova, ribadiamo la nostra condanna per gli attacchi del 7 ottobre. Ma con la mozione per il riconoscimento dello Stato di Palestina abbiamo anche scelto di dire che non esiste pace senza giustizia, né giustizia senza riconoscimento reciproco. E che il diritto internazionale non è “valido fino a un certo punto”: è il limite che difende la nostra stessa umanità. Il silenzio che ora osserviamo non sia allora un silenzio vuoto, ma un silenzio pieno: pieno di memoria, di nomi, di responsabilità, di volontà di pace, di verità e di giustizia. Un silenzio che accolga tutte le vittime, palestinesi e israeliane, per ribadire una volta per tutte: mai più, per nessuno".
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