Quattro anni e mezzo di carcere. È questa la pena inflitta dal tribunale di Cuneo ad un uomo di origini albanesi per quelle violenze che sua moglie, e madre dei suoi figli, fu costretta subire “fin dal giorno del matrimonio”.
Di quei dieci anni di convivenza prima di sposarsi e di tutto il resto la donna aveva parlato con la sua datrice di lavoro che, in aula, nel processo per maltrattamenti a carico dell’uomo, aveva confermato quanto le disse l’amica, cioè che il marito le aveva messo le mani al collo. Maltrattamenti che si sarebbero protratti per dodici anni, fin quando la donna non decise di lasciare il marito.
La coppia, in Italia dal 2009 e residente a Castiglione Saluzzo, come anche spiegato dai familiari della donna , avrebbe avuto una relazione squilibrata, in cui la possessività di lui avrebbe pesato non poco: “Era successo che l’avesse picchiata perché aveva trovato capelli di donna nello scarico del lavandino- aveva spiegato in aula il fratello della vittima-. Lei doveva preparargli i vestiti prima che facesse la doccia e poi la cena. A volte buttava l’olio in casa apposta per farla pulire”.
Una vita da donna oggetto, in cui la sua opinione non contava nulla. “Qualsiasi cosa mia sorella dicesse - aveva proseguito il testimone- non gli andava bene: l’uomo prendeva le decisioni. L’unica persona che lei aveva vicino ero io, per questo minacciava di farmi del male: ‘Non te lo faccio tornare a casa’ ”.
Chiamata a testimoniare anche la madre della donna, ex suocera dell’imputato, che ha raccontato delle violenze subite dalla figlia a cui lei stessa aveva assistito. In un episodio aveva anche cercato di difenderla assieme ad una delle nipotine. Alla base della lite tra i coniugi, ci sarebbe stato il fatto che i figli non fossero ancora stati messi a dormire nonostante fosse tardi. “Mia suocera si è messa in mezzo come sempre” si era difeso l’uomo.
“La loro relazione - aveva sostenuto il pm - è stata un susseguirsi di episodi in cui lei veniva picchiata, anche quando era incinta. Ed è proprio lei a ridimensionare i fatti quando dice che erano ‘solo schiaffi’, succube di una cultura che la voleva sottomessa”. Un atteggiamento, tipico della cultura in cui “la donna deve fare tutto quello che dice il marito”.
“Non è bastato neanche il trasferimento in Italia e il confronto con una diversa cultura - aveva aggiunto il pubblico ministero- a far mutare atteggiamento all’uomo. Lui si arrabbiava per come lei si vestiva, versava a terra l'olio appositamente per obbligarla a pulire, aveva una sorta di schiava a disposizione, la privava della libertà di scelta”.
Per l’avvocato di parte di parte civile, si tratta di “una storia di soggezione, subcultura, oppressione”, maturata “in un ambiente che pretendeva da lei sottomissione”. “Un problema culturale” ammesso anche dalla difesa dell’uomo, seppur “manchino elementi cronologici e fattuali che potessero confermare le accuse”.
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