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Attualità | 19 settembre 2025, 21:08

Patrick Zaki racconta alla Casa del Popolo la prigione e l’impegno civile

Una riflessione che ha toccato anche la guerra e la politica internazionale: “Due pesi e due misure tra Ucraina e Palestina”

Patrick Zaki racconta alla Casa del Popolo la prigione e l’impegno civile

Quest'oggi la Casa del Popolo ha aperto il suo secondo giorno di festeggiamenti ospitando il ricercatore e attivista Patrick Zaki per affrontare con lui il tema geopolitico e delle migrazioni.

Il percorso di attivista di Zaki inizia nel 2011, durante il colpo di Stato in Egitto scoppiato sulla spinta della richiesta di un cambiamento politico e delle proteste contro povertà e fame. Negli anni successivi ha lavorato come ricercatore, dedicandosi in particolare allo studio delle minoranze religiose ed etniche e dal 2016 ha iniziato a documentare le umiliazioni subite dal popolo egiziano.

Un impegno che lo ha presto reso un bersaglio. Le notti, racconta, erano spesso insonni: con i colleghi si dava il cambio per vegliare e proteggersi da possibili arresti.
Il 1° febbraio 2020 venne fermato dalle autorità egiziane, dopo essere stato rapito per 36 ore all’aeroporto del Cairo, bendato, ammanettato, perquisito e sottoposto a elettroshock.

Le accuse erano di diffondere notizie false e appartenenza a un gruppo terroristico: un pretesto usato di frequente dal regime, spesso senza valide prove. 
“Quando chiesi quale fosse il nome dell’organizzazione terroristica di cui avrei fatto parte mi fu detto che non era necessario saperlo, il fatto che 5 persone si riunivano era sufficiente per definirla come tale”, racconta.

Zaki ha trascorso 1 anno e 9 mesi in carcere, in condizioni durissime: mesi di isolamento, senza accesso ai libri, senza poter vedere la famiglia, separato dagli altri detenuti perché considerato 'influente'.  “Ho iniziato lo sciopero della fame per ottenere una revisione del mio caso. Non ho neanche saputo per molti mesi che ci fosse il Covid, vedevo i miei compagni di prigione morire senza saperne il motivo”.

La detenzione fu sospesa temporaneamente l’8 dicembre 2021, con la liberazione in attesa della sentenza definitiva. Il 18 luglio 2023 arrivò la condanna a tre anni di carcere, ma il giorno successivo il Presidente egiziano al-Sisi concesse la grazia, ponendo fine al procedimento giudiziario.

Nel corso del suo intervento, Zaki accusa l’Unione Europea di sostenere indirettamente il regime repressivo egiziano: “L’Unione Europea finanzia il governo egiziano per costruire prigioni e dunque non può essere escluso dai responsabili della sopravvivenza di questo regime”.  Una politica che, secondo Zaki, riguarda anche i paesi del Nord Africa, mantenuti in vita grazie al sostegno europeo in cambio del controllo dei flussi migratori. 

Secondo l’attivista la rivoluzione egiziana è fallita per la mancanza di forza politica, colmata poi dalle forze politiche islamiste, che al contrario all’inizio non erano partecipi alla rivoluzione. Anzi, ricoprivano un ruolo antagonista, di opposizione; che è cambiato solo una volta constatato l’effetivo funzionamento delle rivolte.
“Ormai si tratta di una colonizzazione di natura economica e culturale”.

La sua riflessione si estende anche alla scena internazionale, in particolare sulla guerra a Gaza: “I diritti umani sono stati difesi in maniera molto diversa in Ucraina rispetto a Gaza, sembra si facciano due pesi e due misure nei confronti delle due popolazioni”.  Ha citato come esempio la Spagna e la città di Ravenna, che recentemente ha impedito la partenza dal suo porto di due container esplosivi diretti in Israele. Ha poi espresso un appello ai numerosi presenti: “È importante attuare una rivoluzione interna nel nostro Paese, resistere, prima di pensare a volerne scappare”.

Giulia Frontino

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