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Politica | 30 luglio 2025, 11:56

Ex Ilva, la doppia partita di Genova e Taranto: due città in bilico tra acciaio, politica e resistenza

Dalle dimissioni del sindaco Piero Bitetti all’attesa di Silvia Salis, mille chilometri di distanza e il comune desiderio di capire che cosa sarà della produzione di acciaio. Sullo sfondo il “no” di chi ha già pagato il prezzo dell’industria a tutti i costi

Ex Ilva, la doppia partita di Genova e Taranto: due città in bilico tra acciaio, politica e resistenza

Il consiglio comunale di ieri sera all’apparenza porta con sé il sapore delle occasioni mancate. L’opposizione, con Fratelli d’Italia in testa, ha chiesto un confronto sul progetto del forno elettrico all’interno dell’ex Ilva di Cornigliano, ipotesi che da qualche settimana ha fatto irruzione a gamba tesa nella narrazione amministrativa cittadina. Un tema potenzialmente sconfinato, che chiama in causa la salute pubblica, il lavoro, la pianificazione urbanistica e il futuro industriale della città.
La sindaca Silvia Salis, alle prese con il primo grande test di respiro nazionale, ha scelto il basso profilo. Ha evitato di spingere il dibattito in aula, rimandando tutto a un momento successivo, auspicabilmente più chiaro. Ne è uscito un sostanziale pareggio, poco utile nell’immediato ma potenzialmente strategico nel breve periodo, quando bisognerà iniziare a prendere delle decisioni e, forse, sedersi al tavolo senza dichiarazioni o impegni pregressi può essere una buona cosa.
Non possiamo decidere ora - ha detto in sostanza - perché non abbiamo ancora un piano industriale completo”. Ha poi aggiunto che la priorità, in questa fase, è attendere che a Taranto si risolvano i nodi politici e istituzionali.

La crisi di Taranto

A Taranto, nel frattempo, la crisi è scoppiata. Lunedì, a poche ore dal consiglio comunale monotematico e dalla convocazione romana per l’accordo di programma con il governo, il sindaco Piero Bitetti ha annunciato le dimissioni. Una mossa clamorosa, arrivata al termine di una giornata segnata dalla tensione crescente con i comitati e dalla contestazione pubblica. Bitetti ha spiegato di non poter più rappresentare una città divisa, ferita, senza certezze. Ma in molti si chiedono se quelle dimissioni siano un vero atto di rottura o una scelta strategica per non assumersi responsabilità impopolari. Le prossime ore saranno determinanti per capire la natura del gesto.
La città pugliese vive da anni nella contraddizione insanabile tra lavoro e salute. Il siderurgico continua a essere un colosso industriale in crisi, appesantito da decenni di inquinamento, da promesse mancate, da progetti di bonifica mai realmente partiti. Le famiglie dei quartieri più colpiti, come il Tamburi, conoscono troppo bene il prezzo dell’acciaio in termini di salute e contano i morti. Ora, di fronte a un nuovo piano di rilancio che prevede ancora forni, ancora fumi, ancora rischi, la reazione è di rabbia e sfiducia.
Le dimissioni del sindaco, dunque, non fanno che aumentare il vuoto.

Il piano

Il forno elettrico di Cornigliano dovrebbe rappresentare il volto nuovo dell’acciaio italiano. Una tecnologia più pulita, più moderna, meno impattante. Secondo quanto trapelato dal Ministero delle Imprese, l’impianto potrebbe produrre fino a 2 milioni di tonnellate l’anno, con un investimento importante e la creazione di circa 700 nuovi posti di lavoro. Numeri importanti, ma ancora tutti sulla carta.
La realtà è che, ad oggi, un piano industriale non esiste. Nessun documento ufficiale è stato trasmesso al Comune, né alla Regione. Solo parole, annunci stampa, rassicurazioni. Nessun cronoprogramma, nessuna analisi di impatto ambientale, nessuna certezza sulle modalità di alimentazione energetica dell’impianto, che dovrebbe comunque essere legato alla produzione di preridotto a Taranto.
È qui che il meccanismo si inceppa. Perché senza una piena operatività di Taranto, il forno elettrico genovese non può funzionare. È un progetto gemello, strutturato su due pilastri. E se uno dei due crolla, o si inceppa,  anche l’altro diventa instabile.

Le voci del dissenso

Di fronte all’immobilismo istituzionale, le voci più chiare arrivano dai comitati. A Genova, il Comitato ‘No Forno Elettrico’ ha preso posizione con forza, sottolineando il rischio che il quartiere di Cornigliano torni a essere periferia sacrificabile. In una lettera pubblica, firmata anche da accademici, medici e attivisti, si chiede alla nuova amministrazione di fare chiarezza, di ascoltare i cittadini, di non accettare progetti imposti dall’alto.
Le madri di Taranto, invece, non hanno mai smesso di parlare. Alcune di loro, nel quartiere Tamburi, continuano a mostrare le fotografie dei figli morti, dei parenti ammalati, delle diagnosi che pesano come condanne. Sono loro a chiedere che l’Italia smetta di pensare all’acciaio solo come produzione, e inizi a parlarne come responsabilità.
Le due comunità, a loro modo, si parlano. Non si conoscono, ma condividono la stessa diffidenza, la stessa fatica, la stessa sensazione di essere usate. In questa alleanza informale, fatta di resistenza e coscienza civile, c’è la parte più viva di una discussione che la politica non riesce a tenere insieme.

Le contraddizioni del governo

Il ministro Adolfo Urso, negli ultimi mesi, ha moltiplicato gli annunci. Ha promesso che a Genova ci saranno 700 posti di lavoro in più. Ha detto che il forno elettrico è il simbolo della transizione. Ha spiegato che non ci sarà alcun trasferimento di produzione da Taranto. Ma in parallelo, ha firmato un’Autorizzazione Integrata Ambientale per l’impianto pugliese che prevede l’utilizzo del carbone fino al 2038. Una contraddizione lampante, che smaschera la retorica ecologista e riporta il dibattito nel campo delle convenienze politiche.
Nel frattempo, la decarbonizzazione è diventata un termine vuoto. Si parla di “impianti più puliti”, ma non si specifica dove andranno le scorie. Si promettono “nuove tecnologie”, ma non si dice con quali fondi. Si cita l’Europa, ma non si affrontano le sue richieste ambientali, che restano sullo sfondo come un’eco lontana.
La partita dell’Ilva (e, più in generale, dell’acciaio italiano) si gioca su un tavolo dove le carte sono coperte. E chi sta in periferia, come Genova o Taranto, riceve solo gli effetti delle mosse altrui. Raramente le spiegazioni.

In attesa

E così, Genova e Cornigliano aspettano un piano che ancora non c’è, un dibattito che non si apre, una decisione che tarda. Taranto, nel frattempo, è tornata a essere il punto cieco della politica industriale nazionale. E nelle due città, le persone continuano a vivere dentro una narrazione che le esclude.
A Genova si attende l’arrivo di tecnici ministeriali per settembre. A Taranto, si attende di conoscere il destino dell’amministrazione e di capire che cosa vorrà fare il sindaco dimissionario. Un’attesa che inevitabilmente si riflette anche su Palazzo Tursi, dove è impossibile prendere posizione senza che da altre parti si annunci qualcosa, si mostrino le carte, si cerchi di far capire quali siano realmente i piani.
L’unica certezza è il “no” chiaro e deciso di chi quei territori li abita.

Pietro Zampedroni

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