E' un'improvvisa accelerazione quella impressa al negoziato per il Festival. La Rai ha fretta di chiudere e ha convocato la controparte, il Comune. Non al tavolo delle riunioni formali, bensì a quello di un ristorante romano (così pare, perché il “piatto” principale era e resta la riservatezza), per cercare di sciogliere alcuni nodi. Il tutto agevolato dal fatto che il sindaco Alessandro Mager si trovasse già nella capitale, con l'obiettivo di avere notizie e rassicurazioni ministeriali sul progetto Anas per il completamento dell'Aurelia bis. L'ha raggiunto in tutta fretta, si fa per dire quando si tratta di spostamenti ferroviari, l'assessore al turismo e manifestazioni Alessandro Sindoni.
Che, ieri, è salito sul primo treno disponibile, facendo saltare appuntamenti programmati come quello con Sanremese e Virtus per placare le tensioni legate all'uso dei campi di calcio (slittato a domani), pur di arrivare in tempo per il rendez vous fuori agenda. E' una nostra ricostruzione basata su movimenti certi (Sindoni che parte d'urgenza, con il mezzo di trasporto più lento, non avendo avuto il tempo di prenotare un volo aereo, costretto a scusarsi con chi avrebbe dovuto ricevere a Palazzo Bellevue) e alcuni indizi. Inutile cercare conferme dagli interessati, disposti a negare anche l'evidenza se necessario (e nel dubbio, non rispondono al telefono), pur di non tradire la regola del silenzio (verso l'esterno) che si sono imposti in questa delicatissima fase per il futuro del Festival. Se la “chiacchierata” a tavola (o in altro contesto) produrrà degli effetti lo si saprà molto presto. Perché la Rai sembra aver fissato una sorta di “deadline”, secondo le indiscrezioni trapelate prima della (presunta) misteriosa cena: mercoledì prossimo è in programma la riunione del Cda che precede le tradizionali vacanze estive, e oltre il 1° agosto non vorrebbe andare per varare una bozza di accordo. Di conseguenza, è scontato che la prossima settimana riprenda la negoziazione con il Comune.
Gli scogli da superare sono diversi, al di là dei 6,5 milioni annui pretesi dall'amministrazione Mager per riconsegnare le chiavi del Festival (rispetto ai 4,8 milioni della convenzione scaduta), nel solco della manifestazione d'interesse imposta dal Tar ligure e conclusa con una sola candidatura, quella della stessa Tv di Stato. Che, in particolare, non digerisce la cessione di una quota minima dell'1% sugli introiti pubblicitari festivalieri (somme importanti), ma anche (forse soprattutto) il fatto che, nella battaglia legale seguita alla storica sentenza emessa nel dicembre scorso dai giudici amministrativi di primo grado, non sia stato riconosciuto un legame diretto tra il format costruito nei decenni, fino agli elevatissimi picchi raggiunti nelle ultime edizioni, e il marchio Festival della canzone italiana (e quello più diffuso Festival di Sanremo) di cui il Comune ha avuto conferma della piena e assoluta proprietà, peraltro protetta da tempo, nei vari passaggi della vicenda.
Da qui la “minaccia” di lasciare Sanremo, fatta trapelare pure in questi giorni, scatenando un ventaglio d'ipotesi per un inedito Festival Rai da tenere a battesimo altrove: da Torino a Milano, da Napoli alla riviera adriatica, Rimini, Viareggio e da ultimo perfino l'autocandidatura di Jesolo. Non potrebbe mai essere il Festival che tutti conoscono, con i suoi 75 anni di storia, ma soltanto una possibile evoluzione da “laboratorio dello show”. Le copie, si sa, non valgono gli originali. L'ipotesi del divorzio agitata da mesi appare come “extrema ratio” che, a rigor di logica, non conviene alle parti. A cominciare dal Comune, che si ritroverebbe a dover ricostruire l'evento bussando ad altre porte televisive, con le pesanti incognite del caso. E per la stessa Rai sarebbe un salto nel buio, una scommessa ad alto rischio. Ecco perché, alla fine, la conferma del matrimonio di convenienza appare come la scelta più sensata, pur nella diversità delle posizioni e su basi nuove rispetto al collaudato sistema delle convenzioni bocciato dalle sentenze. Non resta che attendere.
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