Una spalliera di rose scarlatte e un cancello in stile spagnolo, la strada sterrata che conduce all’incontro con un mondo altro, in cui predominano infinite gamme di verde, saltano conigli selvatici e il picchio rosso fa udire il suo richiamo nel folto del bosco. Siamo a Morazzone, e all’aprirsi del cancello ecco i filari di viti, perfette geometrie che bordeggiano la strada, il segno dell’uomo sul territorio, un segno antichissimo e nobile, da pochi anni tornato con forza a segnare le nostre colline, grazie ad aziende come la Cascina Ronchetto “Materno”, una delle “sette sorelle” del vino del Varesotto, creatura del neo presidente dell’Associazione Vini Varesini, Fabio Cazzani.
Già, perché a Varese si fa il vino, e oggi lo si può dir forte. Dopo il timido inizio con il mutare del secolo, e soltanto tre aziende convinte di portare nel territorio prodotti di qualità compiendo una piccola rivoluzione, oggi il sodalizio conta su sette associati, una riconosciuta visibilità e la voglia di fare sempre meglio, grazie a professionalità e fantasia. Giusto da vent’anni, infatti, esiste la certificazione IGT (Indicazione geografica tipica) di “Vino dei Ronchi Varesini”, un disciplinare che regola vini prodotti secondo precisi intendimenti, dai vitigni alla produttività per ettaro, una sorta di passaporto per la qualità grazie al quale i nostri vini possono spiccare il volo oltre i confini provinciali e farsi conoscere un po’ ovunque.
«Si può dire che la produzione vinicola sia figlia del nuovo millennio, i primi vini varesini hanno visto la luce intorno al 2003 e noi siamo arrivati a produrre nel 2005. Allora le cantine erano solo quattro, la mia, la Cascina Piano di Angera, Cascina Filip e la Tenuta Tovaglieri di Golasecca, oggi siamo a sette associati e oltre dodici in totale nel territorio. L’"Associazione Vini Varesini" è nata nel 2008, e dal 2010 i numeri della produzione hanno incominciato a salire, fino ad allora era difficile dire che a Varese si facesse il vino», dice Fabio Cazzani, titolare di un’azienda meccanica e folgorato dalle perfette geometrie dei vigneti, tanto da acquistare e trasformare, nel 1998, la vecchia Cascina Ronchetto in un’azienda vinicola all’avanguardia, con 15mila bottiglie prodotte all’anno e ben otto diverse qualità di vino.
«Le aziende vinicole sono sparse per la provincia, a testimonianza della bontà dei nostri terreni per la coltivazione della vite, ogni produttore ha una sua precisa identità e si vinifica in bianco, rosso, rosato e spumante. La mia presidenza vuol essere di sprone a far conoscere ulteriormente i vini locali, che ormai sono molto migliorati con l’esperienza di anni. A far parte dell’associazione, oltre alla mia azienda, ci sono infatti Cascina Piano, Tenuta Tovaglieri, Ca’ dell’Orsa, I due filari, Emotion green e Cassiciacum».
Cascina Ronchetto conta su 4 ettari e mezzo di vigneti, circa un quinto di quelli totali delle aziende associate, e accanto a papà Fabio lavorano in azienda due dei figli, Pascale ed Elia, oltre a due persone fisse che si occupano direttamente delle viti.
«Ogni giovedì apriamo la cantina e proponiamo, su prenotazione, la degustazione dei nostri vini, tre calici accompagnati da un tagliere di salumi e formaggi, sempre del territorio, tutto a chilometro zero. Da noi arrivano pullman di turisti mandati spesso dalle agenzie, dagli alberghi o dai ristoranti che tengono i nostri vini, come il Palace Hotel o la Vecchia Riva. Abbiamo venduto in Olanda, sono ritornati qui dopo un anno turisti tedeschi complimentandosi per la qualità dei prodotti. Vendiamo poi a privati, ristoranti e a qualche enoteca».
I vini di Cascina Ronchetto hanno nomi curiosi e particolari: si va dal “Pascale” e dal “Nadine”, i nomi delle due ragazze Cazzani, al “Materno” dalla denominazione del luogo, poi il “Matocch” in puro dialetto bosino, il “Ronché” omaggio alla cascina, il “Botte 13” invecchiato in barrique di rovere, il “Tenore” come il torrente che scorre lì vicino, e il “Gibilée”, dall’antico soprannome della famiglia paterna Cazzani, uno spumante affinato per 96 mesi sui lieviti e prodotto da uve Chardonnay, Merlot vinificato bianco e Pinot nero. I prezzi variano dai 10 ai 28 euro dello spumante.
«Siamo più specializzati nei rossi, il “Pascale” è 100 per 100 Merlot come il “Materno”, il “Matocch” ha il 70 di Merlot e il 30 di Cabernet a taglio bordolese, il “Ronché” Merlo e uve a bacca rossa “Gallotta”, il “Botte 13” 100 per 100 Merlot affinato in barrique di rovere, il “Tenore”, bianco, è puro Chardonnay e il “Nadine” è un rosé sempre tutto Merlot, affinato in acciaio sulle fecce nobili e poi per tre mesi in bottiglia», spiega Pascale, che si occupa degli eventi in azienda, della gestione e affianca l’enologo.
Sulle etichette delle bottiglie della casa spicca un altro simbolo che ogni varesino conosce bene, il Monte Rosa, assieme al campanile di Morazzone e ai filari di viti. Il primo vino prodotto dalla Cascina Ronchetto è stato il “Pascale”, nel 2005, anno in cui è stata costruita la cantina. Oggi alla Cascina Ronchetto, oltre alle degustazioni si tengono corsi didattici sul vino ed eventi aziendali: «Con l’Associazione Vini Varesini», aggiunge Fabio Cazzani, «stiamo pensando a un paio di eventi da organizzare in autunno e a rendere annuale la festa che abbiamo appena fatto alla Tenuta Tovaglieri di Golasecca per celebrare i 20 anni del marchio IGT. Sarebbe bello creare poi il giorno della “cantina aperta”, un tour generale per la provincia in cui tutti i produttori locali presentano i loro vini». Il cambiamento climatico non spaventa più di tanto l’azienda di Morazzone: «Il clima più caldo è in fondo un vantaggio, mentre temiamo di più le bombe d’acqua e la grandine, perciò ogni filare è protetto da reti».
Elia Cazzani in azienda segue i lavori e la vendita, e spesso opera accanto a enologo e agronomo: «I nostri vini più richiesti? Lo spumante “Gibilée” va molto, ma il vino più gettonato è il “Pascale”, poi arrivano “Matocch” e “Tenore”. Certo, anche il vino risente delle stagioni, in estate si consuma di più il bianco e il rosé, però devo dire che il rosso non conosce flessioni».
Il vino è una magia, muta come l’umore degli uomini e il suo carattere è dato dalla terra e dal sole, requisiti che per fortuna la nostra provincia ancora mantiene, assieme alla caparbietà dei produttori, capaci di rinnovare una tradizione che sembrava perduta. Per questo il “ViVa” che sintetizza il marchio dell’associazione è un plauso e un augurio a chi ci ha sempre creduto.
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