Se il 25 e il 26 maggio Genova sarà chiamata a eleggere il suo nuovo sindaco è perché un anno prima, il 7 maggio 2024, Giovanni Toti è stato arrestato dalla Guardia di Finanza in un hotel di Sanremo con le accuse di finanziamento illecito ai partiti, falso e truffa ai danni dello Stato.
È bene ricordarlo, un po’ perché la politica sembra essersene dimenticata (comprensibilmente dalle parti del centrodestra, colpevolmente dalla parte opposta), un po’ perché con il passare dei mesi si rischia di perdere tra la polvere del tempo le motivazioni che hanno portato al voto prima la Liguria e poi, di conseguenza, il suo capoluogo.
In piazza De Ferrari e a Palazzo Tursi i rispettivi mandati si sono chiusi prima del tempo, anche questo va ricordato. Nel post Toti, il centrodestra ha chiamato a rapporto (con l’ormai celebre telefonata di Giorgia Meloni da Roma) l’allora sindaco Marco Bucci, che ha lasciato la poltrona di primo cittadino per imbarcarsi nella competizione elettorale regionale che l’ha visto uscire vincitore. Quindi, di conseguenza, si è aperta la stagione del voto anche in Comune, l’interregno di Pietro Piciocchi è servito solamente per traghettare l’amministrazione verso nuove elezioni.
E ora, tra fine maggio e inizio giugno, la chiusura del cerchio: anche Genova, dopo la Regione, avrà una nuova amministrazione. Resta solo da capire se saranno o meno dello stesso colore.
Così si chiuderà definitivamente l’era Toti. L’ex presidente, con tutto il suo carrozzone e con quel finale shock, politicamente sarà solo un ricordo.
Ma Giovanni Toti non è disposto a stare in panchina. Archiviata l’inchiesta con il patteggiamento a due anni e tre mesi di reclusione, convertiti in 1.620 ore di lavori socialmente utili che l’ex presidente sta svolgendo nella sede genovese della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori (oltre alla confisca di 175.850 euro e l'interdizione dai pubblici uffici per tre anni a livello locale e per sei su scala nazionale), prima è tornato al giornalismo e, poi, è sceso in campo con la fondazione della società di comunicazione ‘Philia’, lanciata in grande stile e della quale ora sembrano un po’ essersi perse le tracce. La pagina social è ferma a tre post da inizio marzo e ha 42 “mi piace” e 57 follower. Ma forse è solo una questione di tempo. Sullo sfondo, inoltre, c’è anche una nuova inchiesta per truffa ai danni dello Stato che vede Toti coinvolto insieme all’assessore regionale Giacomo Giampedrone per un presunto contratto fittizio a beneficio del gestore di uno stabilimento balneare di Ameglia. Staremo a vedere.
E gli altri protagonisti della vicenda che fine hanno fatto?
Paolo Emilio Signorini, ex presidente dell’Autorità Portuale ed ex amministratore delegato di Iren, arrestato anche lui il 7 maggio 2024 con le accuse di esercizio della funzione e per atti contrari ai doveri d’ufficio, ha patteggiato una pena di tre anni, cinque mesi e ventotto giorni, mentre l’imprenditore portuale Aldo Spinelli, altro nome ‘pesante’ dell’inchiesta, arrestato per corruzione, ha patteggiato tre anni e tre mesi con l’interdizione temporanea dai pubblici uffici e la confisca di 400 mila euro. Suo figlio Roberto, anche lui indagato per corruzione, è stato sottoposto alla misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare l'attività imprenditoriale e professionale.
Vicinissimo a Toti era il suo capo di gabinetto, Matteo Cozzani, accusato di corruzione elettorale con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa (per i rapporti con i riesini di Genova) e corruzione per l’esercizio della funzione. Inizialmente ai domiciliari, è poi passato all’obbligo di dimora, poi tramutato in obbligo di firma. Ora gestisce un ristorante di lusso a Portovenere.
Francesco Moncada, consigliere di amministrazione di Esselunga, accusato di corruzione nei confronti di Giovanni Toti nell’intricata vicenda che ha coinvolto anche l’editore di Primocanale, Maurizio Rossi, ha patteggiato la pena di un anno, convertita in una sanzione di 200 mila euro, oltre ad aver versato 50 mila euro di risarcimento alla Regione e averne restituiti 10 mila.
L’imprenditore portuale Mauro Vianello, accusato di corruzione nei confronti di Paolo Emilio Signorini, ha patteggiato un anno e quattro mesi con la restituzione di circa 20 mila euro, così come Alberto Amico, attivo nel mondo dei cantieri navali, ha patteggiato un anno e due mesi di reclusione con tanto di risarcimento di 100 mila euro alla Regione e la restituzione di 90 mila euro.
C’è poi tutto il filone dei rapporti con i fratelli Arturo, Angelo e Italo Maurizio Testa, esponenti della comunità riesina a Genova, nel mirino degli inquirenti per corruzione aggravata dall’agevolazione mafiosa con l’accusa di aver promesso posti di lavoro e alloggi popolari in cambio di voti per agevolare il clan Cammarata che ha visto coinvolto anche l’ex sindacalista CGIL, Venanzio Maurici, anche lui accusato di corruzione elettorale aggravata dall’agevolazione mafiosa.
Tutto un mondo che ora, con l’esito del voto, finirà negli archivi delle pagine di cronaca e nella storia contemporanea della nostra regione. Dall’esito delle urne potrebbe arrivare un ultimo verdetto, dopo quello dei tribunali, a sancire il reale effetto che tutto quel terremoto ha lasciato sul terreno in quel di Genova.
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