Quattro maggio 1949, Superga.
Un trimotore Fiat G212 si schianta contro il terrapieno posteriore della Basilica mariana che abita il colle: a bordo dell’areo c’è l’intera squadra del Torino, il Grande Torino, una delle più forti e vincenti formazioni della storia del calcio mondiale.
Nell’incidente muoiono tutti i passeggeri. Calciatori, allenatori, dirigenti, accompagnatori, giornalisti sportivi e personale dell’equipaggio. Tra le vittime anche Franco Ossola, primo grande campione calcistico varesino, e Virgilio Maroso, fratello di quel Peo che seppe scrivere una pagina davvero importante del calcio biancorosso.
Sono passati 76 anni. Virgilio, Peo, un altro Virgilio. Che, oltre al nome dello zio, prende oggi per VareseNoi in mano un altro testimone: quello della storia.
Virgilio Maroso, cosa le ha raccontato suo padre Peo di quella tragedia?
Papa era un quattordicenne che era andato a giocare a pallone in un campetto della periferia di Torino. Terminata la partitella con gli amici, prese la corriera per rientrare a casa e sentì la notizia, ma non le diede particolare importanza. Solo quando arrivò a casa si rese realmente conto di quanto avvenuto, di come quella tragedia avesse toccato anche la sua famiglia: vide il terribile sconforto dei genitori Francesco e Caterina e della sorella Maria, oggi ancora in vita ultra-novantenne. Mio padre questo episodio lo ha raccontato molte volte in famiglia, e tutte le volte si intravedevano le lacrime nei suoi occhi.
È andato spesso con lui a Superga, o anche da solo, negli anni successi?
Da piccolo era una tappa fissa andarci con i miei genitori a trovare zia Maria e zia Carla, moglie dello zio deceduto. Ricordo che zia Carla mi diede in dono alcuni cimeli dello zio che ancora oggi conservo tra gli oggetti affettive più cari. Spesso, inoltre, andavamo al cimitero monumentale a rendere omaggio a quei campioni. Tutto questo fa parte dei ricordi più emozionanti della mia infanzia.
Ha partecipato anche a qualche momento commemorativo?
Sì, da alcuni. Quello più commovente è stato per il 50esimo anno dalla tragedia: ero presente con papà alla grande cerimonia in Basilica e avevo vicino Boniperti e l’avvocato Agnelli. A Superga, in ogni caso, vado spesso, con un amico varesino o ancor meglio da solo, perché ritrovo in quel luogo una sensazione indescrivibile di spiritualità.
Qualche altro ricordo tramandato da suo padre?
È sempre stato molto fiero nel ricordare la partita fatta a Torino in cui zio Virgilio vestì la maglia azzurra della Nazionale, che quel giorno giocava contro l'Ungheria. Papà rammentava che diversi militari di alto grado, filo sovietici, cambiarono il posto sugli spalti per vederlo giocare meglio. In quel periodo Virgilio Maroso era il più forte difensore del panorama calcistico internazionale. Ma il destino non gli lasciò scampo.
Suo zio non sarebbe dovuto partire per quella fatale trasferta, giusto?
No, perché era reduce da una fastidiosa pubalgia. Ma insistette molto con l'allora presidente Ferruccio Novo per poter stare vicino ugualmente alla squadra in un incontro così importante e per non perdersi la possibilità di visitare Lisbona. Rimase in forse fino all’ultimo, ma alla fine partì…
Un intreccio di destino strano…
Certo, come quello che accomuna Franco Ossola, Virgilio, mio padre e Cicci Ossola. Chi l'avrebbe mai detto che papà avrebbe giocato ed allenato al Franco Ossola e che avrebbe avuto la stima e l' amicizia del grande campione Cicci… Che stranezze porta la vita.
Cosa farà per l’anniversario?
Avrò un momento di raccoglimento per i miei cari e per tutto quel grande Torino. E mi auspico che magari allo stadio che porta il suo nome i varesini rendano omaggio a Franco Ossola, il primo grande campione calcistico cittadino a livello internazionale. Poi è vero che l'aria del Sacro Monte ha dato lustro anche ad altri indimenticabili personaggi calcistici come Anastasi, Gentile e Marini, tanto per citare alcuni nomi che hanno scritto pagine importanti nella storia del nostro calcio.
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