Una cosa è certa: da quando un mese fa è stato arrestato il presidente Giovanni Toti, né lui né la sua squadra di governo hanno pensato nemmeno per un istante di fare un passo indietro. Forse qualche scricchiolio ben silenziato nelle ore più calde c’è stato, ma nulla più. Ne sono viva testimonianza le parole del governatore nella lettera consegnata al fedelissimo assessore Giacomo Giampedrone e arrivata in consiglio regionale per voce del consigliere Alessandro Bozzano, oltre alla ferma dichiarazione del presidente ad interim Alessandro Piana: “Possiamo andare avanti fino a fine mandato”.
Si va avanti con un presidente agli arresti domiciliari, quindi? Fino a oggi è stato palesemente così e a nulla sono valse le strenue battaglie delle opposizioni nel chiedere le dimissioni, culminante con la mozione di sfiducia presentata al consiglio regionale e bocciata in blocco dalla maggioranza compatta.
Il possibile punto di svolta potrebbe arrivare dopo le elezioni europee. Con il voto alle spalle, infatti, verrebbe a decadere una delle motivazioni della misura cautelare indicate nell’ordinanza di custodia firmata dal Gip Paola Faggioni: “Il pericolo attuale e concreto che l'indagato commetta altri gravi reati della stessa specie di quelli per cui si procede, e in particolare, che possa reiterare, in occasione delle prossime elezioni, analoghe condotte corruttive, mettendo la propria funzione al servizio di interessi privati in cambio di utilità per sé o per altri”. Quel “in occasione delle prossime elezioni”, quindi, è vicino alla scadenza. Ed è anche il motivo per cui, molto probabilmente, Toti non ha ancora presentato istanza di revoca dei domiciliari: troppo alto il rischio di ricevere in risposta un “no” che avrebbe macchiato indelebilmente la sua narrazione del gran ritorno.
Una questione di pochi giorni e poi potrebbe scriversi un nuovo capitolo dell’inchiesta che ha di fatto ribaltato un sistema politico che da quasi dieci anni governa la Liguria.
Tanti e diversi gli scenari possibili in caso di scarcerazione di Toti post elezioni. La strada che porta alle possibili dimissioni del presidente passa dal tanto citato incontro con la sua maggioranza. Sin dai primi giorni il presidente, tramite il suo avvocato Stefano Savi, ha fatto sapere che per discutere le eventuali dimissioni avrebbe prima dovuto avere un faccia a faccia con la maggioranza, legando così il destino politico della Regione alla revoca della misura. Ma l’ipotesi dimissioni passa anche da Roma. I vertici dei partiti di governo sono impegnati nelle ultime ore di campagna elettorale, poi potrebbero mettere mano alla questione Liguria dopo settimane di mezze dichiarazioni all’insegna dell’attendismo e del garantismo. Su tutti la presidente del consiglio Giorgia Meloni che non si è mai espressa nel merito dicendo di voler aspettare le dichiarazioni di Toti e, quindi, per logica, la sua uscita dai domiciliari. Stessa linea per Antonio Tajani, vice premier e segretario di Forza Italia. Mentre non è un segreto la perplessità della Lega, espressa per voce del sottosegretario Edoardo Rixi anche in relazione ai lavori per la nuova diga foranea del porto di Genova con la decisione di inviare una commissione ministeriale in loco.
La giunta ligure (e con lei la sua maggioranza) vanno avanti compatte, respingono la mozione di sfiducia e attendono, quindi, le possibili telefonate in arrivo da Roma dopo le elezioni europee. Quando Toti potrebbe tornare alla politica attiva in attesa di giudizio, incontrare la squadra di governo regionale e, soprattutto, sentire i vertici dei partiti che lo sostengono.
La seconda strada, invece, va nella direzione della continuità. Se, una volta uscito dalla casa di Ameglia, Toti sarà investito della fiducia che il consiglio regionale ha messo nero su bianco con la votazione di martedì scorso e se da Roma arrivasse un pollice alzato, allora tutto potrebbe davvero proseguire nel solco di quanto detto dal presidente ad interim, Alessandro Piana. Si andrebbe avanti sino a fine mandato, senza elezioni anticipate in autunno e senza ribaltoni. L’unico nodo da sciogliere sarebbe quello del successore di Toti, e qui si andrebbe certamente a pescare tra i fedelissimi che non gli hanno voltato le spalle nei giorni più difficili della sua vita. È il caso, su tutti, del suo fedelissimo assessore Giacomo Giampedrone, unico ad aver incontrato il presidente nella sua casa di Ameglia e destinatario della lettera indirizzata al consiglio regionale. Giampedrone, inoltre, proprio nelle ultime ore ha ricevuto dalle mani del presidente anche l’incarico di commissario contro il dissesto idrogeologico in Liguria oltre a essere il componente della giunta con il maggior numero di deleghe. Occhi puntati anche su Ilaria Cavo, altra storica ‘arancione’ e che, tra l’altro, spesso viene sbandierata come uno dei pochi nomi uscito indenne dalle intercettazioni legate all’inchiesta con il suo “no” alle cene con gli esponenti della comunità riesina. Infine impossibile non pensare anche a Marco Scajola, altro totiano della prima ora, volto degli arancioni a Ponente, in odore di passaggio del testimone già ben prima dell’inchiesta.
Sempre che ai partiti di governo (specie a Fratelli d’Italia e Lega) non stia balenando per la mente l’idea di mettere le mani sul governo regionale ligure.
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