Il Nazionale

Cronaca | 05 dicembre 2023, 07:11

La madre di Alberto Scagni visita il carcere di Sanremo: “Sangue ovunque, la direttrice è rimasta muta”

La visita di Antonella Zarri in carcere a Sanremo è stata raccontata da Ilaria Cucchi

La madre di Alberto Scagni visita il carcere di Sanremo: “Sangue ovunque, la direttrice è rimasta muta”

Mentre il figlio Alberto è ancora ricoverato in prognosi riservata all’ospedale ‘Borea’, la mamma Antonella Zarri ha fatto visita nel carcere di Valle Armea per vedere con i propri occhi la cella 6, quella dove il 43enne è stato ridotto in fin di vita, pestato per ore con sedie e sgabelli.

Alberto Scagni, condannato a 24 anni e 6 mesi per l’uccisione della sorella Alice, è stato vittima della giustizia sommaria dei due compagni di cella che lo hanno sequestrato per tre ore colpendolo a ripetizione. E ora la madre, rimasta senza Alice e senza Alberto, cerca ancora giustizia da quello Stato che prima non le ha garantito adeguata protezione da un figlio violento e ora sembra voltarle nuovamente le spalle.

La visita di Antonella in carcere a Sanremo è stata raccontata da Ilaria Cucchi, senatrice e sorella di Stefano, morto nel 2009 a Roma mentre era in custodia cautelare.

Da quando è finito in carcere, Alberto è stato massacrato più di una volta: a Marassi, prima, a Sanremo, pochi giorni fa - dice Ilaria Cucchi - è stato picchiato talmente forte che ora ha bisogno delle macchine per sopravvivere. Questa è la giornata in carcere di sua mamma, Antonella, che si è recata nella struttura in cui era imprigionato Alberto, per capire dove lo Stato ha fallito”.

Sono arrivata in carcere alle ore 10 - così inizia il racconto di Antonella - mi hanno fatto entrare alle ore 11, per chiedere il permesso. Poi, alle 11.25, sono finalmente dentro, vengo accompagnata alla cella 6. Quella in cui è stato massacrato di botte Alberto, mio figlio. Davanti alla cella 6, c’è la cella 9. Ci sono tre persone detenute, appena rivolgo lo sguardo, si avvicinano. “Ci dispiace per quello che è successo, abbiamo chiamato noi, abbiamo cercato di fermarli”. Chiedo quanto tempo è durato, mi rispondono “tre ore”. L’agente in borghese che mi sta accompagnando mi aggredisce verbalmente. “Lei non può parlare coi detenuti”, mi dice. Rispondo che parlare con i detenuti è mio dovere, rispondo che sono la madre del ragazzo che lì dentro è stato massacrato. Non riesce più a rispondermi. Ormai ho capito che l’agente è incaricato di tenermi d’occhio. Ma quando ha qualche momento di distrazione, continuo a sbirciare. I ragazzi nelle celle vorrebbero parlare, ma vengono rapidamente istruiti a non esporsi. Allora parlano gli occhi, tradiscono disperazione, senso di impotenza, sono gli occhi del carcere. La cella è un macello. In un angolo, è rimasta una scarpa di Alberto. Le macchie di sangue sono ovunque. Tavoli e brande, scaravoltati. È la scena di una sommossa, in 15 metri quadrati. Un detenuto anziano, lui è nella cella 7, mi ripete nuovamente che gli dispiace. “Qui è così, signora, l’avevo detto”. Il vicecomandante della polizia penitenziaria lo zittisce. La voce non si ferma: “ho scritto in procura, per dire che sarebbe successo, le cose qui non vanno bene”. Il vicecomandante mi allontana, per parlare da solo con il signore. Ne approfitto, torno fuori dalla cella 9, chiedo: “volevano ammazzarlo?” Un ragazzo si mette una mano sul petto, sottovoce mi dice: “non lo so, non lo so davvero”. Ha l’aria ancora spaventata, quella di chi ha visto. Compare un’altra agente. Si qualifica come comandante della polizia penitenziaria. Il suo tono è allegro. “Io ero in ferie, l’unica settimana dell’anno pensi, sono cose proprio antipatiche queste”. Non aggiunge altro, ci accompagna dalla direttrice. La direttrice ci riceve in sala riunioni. Resta muta, insipida e melliflua, non una parola di rammarico. C’è chi lo chiede per me: “La signora voleva sapere cosa è successo”. “C’è un’indagine in corso”, risponde. Sbotto, in modo educato, che la verità si può dire sempre. Sono le mie ultime parole, esco poco dopo senza nessuna risposta”.

Intanto Alberto Scagni resta ricoverato all’ospedale ‘Borea’ di Sanremo in prognosi riservata dopo l’operazione maxillo-facciale. Una volta risvegliato dal coma indotto sarà trasferito al ‘San Martino’ di Genova in attesa di essere portato in un altro carcere.

Pietro Zampedroni

Commenti