Non c’è posto, dentro San Giorgio Martire. E nemmeno fuori, per la verità.
Chiesa stracolma. Persone intorno al piccolo sagrato, assiepate a lasciare giusto la spazio indispensabile all’autofunebre. Persone attaccate ai muretti. Persone oltre la strada, in piedi o sedute su panche aggiunte a un piccolo parcheggio stipato da ore. Agenti della polizia locale e protezione civile a regolare il traffico per le vie anguste di un paese che è rimasto paese. E non è attrezzato per vivere l’amore che arriva da tre luoghi diversi.
Schianno, Induno Olona, Varese: non si conta il numero di anime che oggi pomeriggio si sono strette per salutare Giovanni Mazzucchelli, il 52enne morto sabato scorso in Valsesia durante una passeggiata con lo scopo di raccogliere funghi (leggi QUI). Schianno, Induno, Varese sono state le mete del bene di quest’uomo talmente speciale nel cuore di chi lo ha conosciuto da stravolgere persino i consueti "protocolli" dell’ultimo saluto.
E così, invece di essere la chiosa della precedente preghiera, le parole di ricordo sono state l’incipit di una funzione infinita, piena di attimi da condividere per sentirsi meno soli, meno affranti, meno nel buio di quel bosco fitto già evocato nelle ore immediatamente successive alla tragedia. Perché la vita di Giovanni è stata luce. E perché le parole di vita contano, quando sono autentiche.
Lo rammenta chi per primo narra ai presenti l’amore fra Giovanni e Claudia, «un unico corpo in Gesù». Lo sussurra, delicato, l’amico di giovinezza che ripercorre un’esistenza comune fatta di avvenimenti da serbare dentro, di partite di basket, di passione smodata per la Pallacanestro Varese: «Grazie per la generosità del tuo bene».
E quasi lo grida, con la voce resa ferma - nel momento più duro - da un’infinita eredità d’amore, con un cuore palpitante di una riconoscenza che si trasforma in gioia, a umiliare il dolore, la figlia Giuditta, prendendosi anche in carico i pensieri e i ricordi di mamma Claudia e del fratello Francesco: «Ciao Papi… sei ovunque… Sei un sole, sei luce e io sono orgogliosa di essere il tuo specchio, come in questi giorni mi dicono tutti». Segue la lettura di una parte della lettera che Giovanni scrisse proprio per Giuditta, in occasione di un suo compleanno. Applausi. E lacrime. E non sai se siano di tristezza o di riconoscenza, stavolta tutta tua, che nemmeno lo conoscevi...
Arriva il turno delle letture, le stesse che tanti anni fa avevano accompagnato il matrimonio tra Giovanni e Claudia. Arriva il momento del vangelo, secondo Matteo, e quello dell’omelia, quasi un dialogo a tre tra don Stefano Silipigni, Dio e lo stesso Giovanni: «Ti diciamo la verità, Signore: proviamo profondo dolore e tristezza e non era questo il tempo, ci sentiamo impotenti, è difficile accettare di non avere potuto far nulla, ci sentiamo quasi in colpa per una colpa che non abbiamo… Proviamo rabbia, ci sentiamo traditi anche da te: Giovanni è sempre stato con te… perché allora proprio a lui tutto questo? Che disegno è la morte di un uomo così giovane?… Cosa ci dici ora? Che dobbiamo essere forti?». Una risposta c’è: «Essere forti significherà rimanere umani, non lasciare spazio alla commiserazione, perdere gli insegnamenti di Giovanni… Grazie, Padre, che ci hai dato Giovanni come dono meraviglioso, un dono che vorremmo rimanesse. Perché l’amore di Giovanni non passa: in questo la morte non può nulla».
Il feretro esce dalla chiesa sulle notte di Bruce Springsteen: «Ti rivedrò nei miei sogni… quando tutte le nostre estati saranno finite…». E poi quel ripetuto “Buona strada”, così sentito dai “suoi” scout presenti a punteggiare la folla. “Buona strada”, che oggi non finisce.
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