"Disabato uomo vero, questo Varese non ti merita": uno striscione scritto con il cuore ferito è stato appeso questa mattina al campo d'allenamento delle Bustecche, durante la rifinitura della squadra biancorossa. «Grazie capitano, ti seguiremo ovunque», «Varese non ti dimentica», «Disa siamo qui per te» è stato urlato poi da un microfono verso il campo, dove Donato correva da solo sulla linea laterale mentre la squadra era in mezzo al prato.
Dietro a quella scritta e a quel lenzuolo non ci sono solo i veri tifosi del Varese, che non accettano di vedere umiliato un varesino e un giocatore simbolo di lealtà e attaccamento alla maglia (dire a Donato dopo vent'anni di carriera di correre attorno al campo mentre la squadra si allena, incrociando gli sguardi dei compagni - che gli vogliono bene - senza poter allenarsi con loro, è nient'altro che un'umiliazione), ma anche tutti coloro che in questa città credono nelle persone che la rappresentano degnamente, a ogni livello dello sport e di qualunque professione, e ci sono i tantissimi allenatori, dirigenti, compagni, avversari incrociati dal centrocampista varesino che in questi giorni si sono mobilitati di fronte a una scelta senza giustificazione.
Disabato può anche essere messo sul mercato dalla società (una volta tanto andrebbe però spiegato il perché di queste scelte impopolari che impoveriscono il gruppo da ogni punto di vista e che danno l'idea di essere prese con crudeltà), ma non può essere messo nella condizione di sentirsi un reietto, come se correre sulla riga bianca del campo, mentre tutti gli altri sono là in mezzo ad allenarsi e giocare, fosse una punizione per chissà quale colpa da dover espiare.
Come si fa in tutto il calcio che conserva ancora buonsenso e dignità, se un giocatore non è più ritenuto adatto alla causa, lo si manda in panchina la domenica in attesa di potergli trovare una diversa e possibilmente degna sistemazione. Non lo si isola certo con un invisibile e invalicabile filo dal resto dei compagni. Questo non è da Varese. Non è il calcio che piace a noi. Non è rispettoso nei confronti dell'uomo, del calciatore e del capitano a cui tutti siamo legati. Portandocelo via, non fanno un dispetto a noi ma al gruppo e al Varese.
È vero: colpendo lui, e quelli veri come lui, ci feriscono al cuore. Ma non per questo resteremo a terra. Ci rialzeremo: insieme a quelli come noi e al vero Varese che mette sempre prima l'uomo, e i rapporti interpersonali, davanti al giocatore. E in panchina, in tribuna e in un'altra squadra e società, finiranno quelli che hanno fatto soffrire o spezzato una famiglia, com'era il Varese e Varese, trasformandola in una società senza nome, senza volto e senza cuore.
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