“In assenza di ulteriori elementi non consente di ritenere provato alcun accordo finalizzato all’elezione del Chiappori e alla nomina a componente della giunta Manitta in cambio di favori destinati ai Surace”. A metterlo nero su bianco, nelle motivazioni della sentenza depositate nei giorni scorsi, è il giudice monocratico di Imperia, Antonio Romano, che il 2 maggio ha assolto con la formula de 'il fatto non sussiste' Giacomo Chiappori, ex sindaco di Diano Marina e attuale membro del Cda di Rivieracqua, e Bruno Manitta attuale vicesindaco della Città degli Aranci.
Chiappori e Manitta erano finiti a processo con l'accusa di voto di scambio 'light', ossia non aggravato dal metodo mafioso, dopo la tornata elettorale del 2011. All'epoca dell'inchiesta erano accusati di aver ricevuto voti "dal gruppo dei calabresi in cambio di vantaggi e favori". Ma per la stessa accusa, rappresentata dal pm Luca Scorza Azzarà, all’esito dell’istruttoria dibattimentale non è emerso alcun coinvolgimento degli imputati nei fatti contestati e soprattutto non è stato provato alcun accordo illecito ed è per questo che è stata richiesta l’assoluzione.
A processo erano finiti con la stessa accusa l’ex vice sindaco e attuale primo cittadino di Diano Cristiano Za Garibaldi, l’ex assessore Francesco Bregolin, attuale presidente del Consiglio comunale, l'amministratore unico di Gm Domenico Surace, il padre Giovanni Surace, e l'ambulante Giovanni Sciglitano. Per tutti la vicenda si è chiusa con la prescrizione mentre Chiappori e Manitta, difesi rispettivamente dai legali Emanuele Lamberti e Roberto Trevia, hanno deciso di rimanere a processo.
Nelle motivazioni della sentenza il giudice Romano ha comunque evidenziato che “l’istruttoria svolta ha dipinto un quadro in cui si è palesata sotto un certo alone di mistero la figura di Domenico Surace, soggetto formalmente estraneo all’amministrazione comunale risultata vincitrice all’esito delle consultazioni elettorali amministrative del 2011 ma che, ciononostante, stazionava spesso all’interno del comune di Diano Marina anche prima della sua nomina ad amministratore unico della GM”. Una “presenza” che comunque, per il giudice, non integra alcuna condotta illecita e infatti “nulla prova in ordine né alla effettiva capacità di gestire e veicolare un pacchetto più o meno grande di voti né in ordine al fatto che tali voti, quand’anche gestiti in concreto dal Surace, siano stati effettivamente destinati in favore della lista vicina al Chiappori”.
In merito alle accuse non è emerso “nulla di concreto e dimostrabile” e “non venuti a galla elementi idonei a provare la presenza di un accordo con l’allora sindaco o con il Manitta” né potendo ritenersi a tal fine sufficiente la sorpresa per i risultati ottenuti dallo Za Garibaldi, dal Manitta e dal Bregolin”. Il giudice ha sposato in pieno la massima della Cassazione relativa al fatto che per l’accordo illecito, finalizzato ad ottenere voti in cambio di una controprestazione, il corruttore non sia ancora candidato e lo stesso accordo deve essere “serio e concreto”.
Uno degli elementi che aveva originato le accuse era la richiesta di spostamento del banco del marcato di Sciglitano. “Richiesta che poi non venne accordata dall’allora consigliere comunale delegato al commercio Davide Carpano ma su cui furono esercitate pressioni, evidenziò l’accusa durante la requisitoria, e lo stesso venne convocato e redarguito dal sindaco per il mancato spostamento”. Ma anche in questo caso per non vi è la prova che tali pressioni siano da ricollegare ad un eventuale accordo illecito. Sciglitano si sarebbe lamentato proprio con Carpano, ma “tale elemento da solo, non prova in alcun modo che il Chiappori – chiosa il giudice - avesse stretto un accordo con la famiglia Surace per indirizzare in suo favore i voti della comunità calabrese di Diano Marina, comunità cui faceva parte anche lo Sciglitano, ed inoltre è stato evidenziato come fosse prassi di qualsiasi candidato quella di recarsi al mercato per fare propaganda elettorale sicchè la riferita manifestazione di scontento del padre dall’originario coimputato Sciglitano ben può essere letta, in un’ottica alternativa, come una generica ed omnicomprensiva critica nei confronti degli amministratori locali”. Infine, per quanto attiene la posizione dell’ex sindaco della città degli aranci il giudice evidenzia nelle motivazioni come la sua figura “viene descritta come lontana da Diano e dalle sue dinamiche amministrative quotidiane. Dall’istruttoria è emersa una certa lontananza dell’odierno imputato dalla vita del comune e dalla gestione quotidiana dell’amministrazione”.
Per quanta riguarda Manitta invece, “nulla è emerso”. Anzi, ciò che è stato palesato sarebbe una sorta di “estraneità o quantomeno una partecipazione non di primo piano nel cerchio ‘ristretto’”. Era stato lo stesso pm Azzarà, durante la requisitoria a parlare del cosiddetto ‘cerchio’ indicato quale ‘magico’ ossia il gruppo “composto dai consiglieri e assessori che si erano anche divisi le deleghe”. Per entrambi gli imputati in definitiva vi è l’assenza di prova dell’elemento oggettivo del reato che ha implicato necessariamente l’assoluzione da parte del giudice imperiese.
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