Il Nazionale

Cronaca | 06 ottobre 2022, 18:05

«Era come un principe azzurro», poi l’incubo: 24enne a processo

L’accusa è di violenza sessuale, stalking e lesioni ai danni di una donna di 46 anni, ascoltata in tribunale a Varese. Tre anni fa la relazione, con botte e minacce: «Non ti troveranno neanche gli archeologi»

«Era come un principe azzurro», poi l’incubo: 24enne a processo

Più giovane di vent’anni, sensibile e romantico come un principe azzurro. Che poi però, alla prima occasione, si è trasformato in un mostro, ossessionato dalla gelosia. Questo secondo le accuse che gli vengono contestate nel processo a suo carico in corso in tribunale a Varese: stalking, lesioni, violenza sessuale. 

Lui, classe 1998, si era fatto avanti per primo come cameriere brillante e simpatico dell’albergo che lei, classe 1976, separata, aveva scelto per la prima vacanza da sola con le figlie, nell’estate del 2019.

Dieci giorni in Calabria per scacciare momentaneamente i pensieri: l’ex marito finito in un brutto giro, i problemi con il bar che gestivano ancora insieme. Nel mezzo, quel cameriere che faceva divertire lei e le due ragazze e che poi, alla fine della vacanza, si fa vivo di nuovo contattando tramite i social la figlia più piccola della donna. 

«All’inizio pensavo fosse interessato a lei, per via dell’età», ha spiegato in aula davanti ai giudici del collegio la 46enne. Le videochiamate fanno nascere un’amicizia, poi qualcosa di più. Tra una confidenza e l’altra il giovane scopre che per la donna è un brutto momento, perché il bar va male. «Lo compro io», propone l’odierno imputato, svelando che l’hotel dove lavora è della sua famiglia, che è facoltosa e in Calabria ha molte proprietà. 

Non serve altro per un viaggio direzione Varese, quantomeno per visionare il locale. Ma poi tra i due scatta la scintilla, ed è l’inizio di una relazione che durerà poco più di un mese, e che farà sprofondare la 46enne in un incubo. 

Il primo episodio violento risale al mese di novembre di tre anni fa. «Lui aveva visto alcuni messaggi sul mio telefono - ha raccontato la donna - erano di un compagno di classe mia figlia, al quale avevo scritto per sapere se fossero insieme. E’ impazzito, mi ha distrutto il cellulare, mi ha ricoperto di insulti e mi ha sputato». Poi arrivano le scuse, “non sono così”, ma per la donna è chiaro che la cosa non può continuare: «Non ti voglio più vedere» è la risposta. Ma invece è solo l’inizio perché il ragazzo resta nei paraggi, appoggiandosi ad un albergo. 

Arriva dicembre e si verifica un altro fatto grave. «Lui continuava ad insistere per rivedermi - ha detto la donna - io inventavo scuse. Stavo facendo le pulizie a casa, gli avevo detto che ero in banca. Quando ho aperto la porta, l’ho trovato sul pianerottolo. Si è infilato nell’appartamento, mi ha sbattuto sul divano e mi ha messo le mani al collo. L’ho graffiato, riuscendo a liberarmi, ma poi non voleva saperne di uscire di casa. Ho dovuto cedere, siamo andati insieme a prendere mia figlia a scuola, e poi a pranzo. Non vedevo l’ora che quella giornata finisse». 

Quel blitz improvviso non resta un caso isolato, secondo il quadro accusatorio ricostruito dalla Procura, anche attraverso le diverse denunce presentate dalla donna. Alle minacce (“ti ammazzo, non ti troveranno neanche gli archeologi”), alle botte - tra cui un ceffone in auto che la fa sanguinare - e alle chiamate a qualsiasi ora del giorno e della notte, seguono altri pedinamenti. Uno costa caro alla 46enne, licenziata - dopo aver lasciato il bar da cui tutto era partito - per una scenata sul posto di lavoro, con minaccia di far saltare tutto il locale se lei non fosse uscita a parlare. Il caso più eclatante a fine gennaio 2020: lei che sta per presentarsi ad un nuovo colloquio fuori provincia, lui che spunta all’improvviso e la costringe a risalire in macchina e a prendere la strada in direzione Varese: “Cammina a casa, a lavorare non ci vai”, la frase riportata in udienza dalla 46enne, che ha poi precisato: «Per lui una donna che lavora è una vergogna». 

Il viaggio di ritorno è parte dell’incubo e coincide con l’accusa di violenza sessuale oggi a carico del 24enne: «Mi ha fatto fermare in un bosco, lì ha cominciato a baciarmi e a togliermi i vestiti. Io piangevo, lo respingevo, lui era disposto anche a pagarmi pur di farlo. Gli ho detto che non doveva scambiarmi per una prostituta. Si è fermato solo quando ho iniziato a piangere forte e a singhiozzare. A quel punto si è lamentato e mi ha detto di rivestirmi». 

Gabriele Lavagno

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