Il Nazionale

Cronaca | 27 aprile 2022, 17:51

Violenze sessuali e soprusi: dal Braidese una giovanissima vittima della "setta delle bestie"

Alla sbarra a Torino l’organizzazione segreta che per decenni avrebbe operato tra il Piemonte e la Lombardia. Dalla Procura subalpina chiesti ventotto rinvii a giudizio per violenza sessuale aggravata, di gruppo e riduzione in schiavitù

Violenze sessuali e soprusi: dal Braidese una giovanissima vittima della "setta delle bestie"

Soprusi di ordine fisico e psicologico, insieme a pratiche sessuali anche estreme inserite in un contesto di dominazione e plagio perpetrato lungo trent’anni di attività dai vertici di quella che gli investigatori della Squadra Mobile di Novara, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia presso la Procura di Torino, hanno ribattezzato come la "setta delle bestie".

Un riferimento quest’ultimo non tanto alla natura triviale degli orrori di cui la stessa Procura (coi sostituti Silvia Baglivo e Paola Stupino) ha chiamato a rispondere i 28 soggetti destinatari delle altrettante richieste di rinvio a giudizio partite negli ultimi giorni del gennaio scorso, quanto ai soprannomi ("capretta", "cavallo", "volpetta", "lumachina") coi quali gli adepti dell’organizzazione segreta con radici tra il Piemonte e la Lombardia si sarebbero riconosciuti all’interno della stessa.

Ieri, martedì 26 aprile, si è tenuta l’udienza preliminare del processo col quale il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Torino – è l’albese Alberto Toppino – punterà a fare chiarezza sulle azioni compiute dagli affiliati alla setta che, sempre secondo gli investigatori, avrebbe obbedito agli ordini di Gianni Maria Guidi, 79enne nato a Pavia e residente a Milano, difeso dall’avvocato Silvia Alvares, che le decine di adepti di questo oscuro e orrido consesso riconoscevano come "il dottore", ma anche come "Re bis" o "il Pontefice".

Una figura che nell’organizzazione si era elevata al rango di punto di congiunzione "tra il mondo terreno e quello spirituale", ai cui desideri tutti dovevano sottostare in modo incondizionato in un processo che, secondo la rappresentazione interna alla congrega, ne avrebbe portato i discepoli ad "annullare l’io pensante" proprio attraverso il dolore e la sottomissione, "accendendo il fuoco interiore" e quindi "elevando la propria mente".  

All’uomo avrebbe così fatto riferimento un sistema che si sarebbe nutrito addirittura di torture e scabrosi riti di sopraffazione sessuale, perpetrati senza ritegno anche nei confronti di vittime giovanissime, in taluni casi bambine sotto ai dieci anni di età che, anche sfruttando il vincolo di fiducia dei familiari appartenenti al gruppo, venivano allontanate dalle famiglie per inculcare loro le teorie della setta tramite iniziazione a "pratiche magiche" e sotto la minaccia di inenarrabili conseguenza se ne avessero rivelato pratiche e natura.

Al vertice una piramide che negli anni si era strutturata di modo che le stesse vittime assumessero presto il ruolo di "mami", cui competeva l’onere di adescare nuovi soggetti attraverso strumenti quali una scuola di danza "magica", ma anche un’erboristeria, una bottega celtica e altre attività – quasi tutte con sede a Milano – che per la setta diventano anche fonte di guadagno grazie al lavoro prestato in nero dalle stesse soggiogate.  

Nella mattinata di ieri il procedimento è iniziato con l’udienza preliminare, subito rinviata al prossimo 29 giugno in ragione di un difetto di notifica nei confronti di uno dei componenti una platea di indagati tutti residenti tra Milano e diversi centri della sua cintura, il Pavese, il Varesotto e il Bergamasco, a vario titolo chiamati a rispondere di violenze sessuali aggravate e di gruppo commesse anche ai danni di minori di anni 10 e riduzione in schiavitù, oltre che di associazione a delinquere.  

Tra le vittime anche una ragazza residente in un centro del Braidese, iniziata alla setta quando aveva appena sette anni
. A rappresentarla in giudizio insieme a un’altra delle sette ragazze intenzionate a costituirsi parte civile nel processo è l’avvocato albese Silvia Calzolaro, che nel procedimento rappresenterà anche l’associazione cuneese Mai+Sole. All’avvocato Elisa Anselmo, anche lei di Alba, si è affidata una terza giovane insieme ai suoi familiari, mentre il legale astigiano Marco Calosso patrocina una quarta vittima dell’organizzazione.

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