Il Nazionale

Sport | 13 marzo 2022, 23:05

IL COMMENTO. Noi ci sentiamo umiliati dal Ligorna. E voi, giocatori e allenatore di un Varese mai così apatico?

Un punto nelle ultime due gare, nemmeno un'occasione da gol per oltre un'ora, una sconfitta per 3-1 che poteva essere più ampia, un attacco inconsistente e le solite scuse finali: il pubblico biancorosso merita ben altre prestazioni e parole rispetto a quelle odierne

IL COMMENTO. Noi ci sentiamo umiliati dal Ligorna. E voi, giocatori e allenatore di un Varese mai così apatico?


Da due settimane, sono tutti e felici contenti quando giocano contro il Varese, tranne Varese e i suoi tifosi, gli unici a cui riferire o giustificare partite e risultati (non si gioca e non si allena per altri che non siano la città o i tifosi: l'orgoglio personale viene dopo, molto dopo). 

Oggi sarebbe bastato dire: «Il Varese non è stato all'altezza del Ligorna e del pubblico che l'ha seguito fino a Genova. Abbiamo perso 3-1 contro una squadra che poteva segnare anche quattro gol se non fosse stata fermata dai legni mentre noi non abbiamo creato una sola occasione per oltre un'ora. Non abbiamo avuto coraggio e voglia di vincere se non quando siamo andati sotto di due gol». E invece, niente. Anzi, peggio: le solite difese d'ufficio di una partita obiettivamente indecorosa, scontate, banali, già scritte e che umiliano ben più del risultato finale.

Non abbiamo passato una domenica a Ligorna e fatto 5 ore d'auto tra andata e ritorno, come tutti i tifosi del Varese, per sentirci dire che una squadra sulla carta più debole ha vinto 3-1 (4-1 se fosse entrato il pallone finito sul palo) e che i biancorossi hanno giocato a calcio mentre i liguri hanno fatto gol stando sempre in difesa, quasi come se il risultato fosse un caso del destino. Un'arrampicata sugli specchi che fa arrossire e arrabbiare.

I liguri hanno vinto perché Roselli ha battuto Rossi (possiamo dirlo senza offendere nessuno?). Perché sono stati più attenti, più compatti, più umili, più "incazzati". Perché l'attaccante Cericola è stato l'esatto contrario del tanto decantato Mamah: arrembante, indiavolato, arrabbiato (e se si sapeva dal sabato che sarebbe finita così, tanto valeva schierargli contro qualcun altro, invece di andare al massacro). Perché Ligorna-Varese 3-1, in fondo, rende superflua ogni altra parola. Perché il Varese per oltre un'ora non ha fatto un tiro in porta. Perché un punto tra Asti e Ligorna è una media da playout, non da playoff. Come le prestazioni (un paio di occasioni in Piemonte, nessuna o quasi in Liguria). Come le dichiarazioni, che fanno passare per pura casualità la sconfitta e cancellano ogni responsabilità biancorossa o merito avversario (sta a vedere che è "colpa" degli altri o del cielo se perdi, e merito tuo se vinci). Come se il grigiore e l'apatia generale biancorossi fossero pour parler, parentesi, immaginazione.

A noi il Varese di Asti e Ligorna è sembrato timoroso, impaurito, troppo calcolatore e ligio al compitino o al comportamento avversario (la partita devi farla tu, dal primo minuto, al di là di chi s'affronta e di come gioca, fosse il Real o il Ligorna!), e oggi ci siamo incazzati molto di più dopo la reazione sullo 0-2 che ha portato al gol e a sfiorare il pareggio (perché non si è giocato così dal primo minuto?) che alla prima, penosa ora di gioco senza un tiro in porta degno di tal nome.

Ecco: alla fine non ci fa rabbia essere a due passi da Marassi, dove non molti anni fa ci giocavamo la serie A, ma essere qui, dove i giocatori scendono in campo da una scalinata appesa alla collina e vengono accolti da 200 tifosi del Varese che meritavano ben altro, ad essere gli unici ad ammettere che il Ligorna è stato più forte e meritevole dei biancorossi.

Evitiamo scuse che non stanno in cielo né in terra: il Ligorna oggi ha avuto anima e palle, dettando le danze, anche nella capacità di soffrire, da vero padrone di casa e del suo destino. Oggi noi avremmo voluto essere tifosi del Ligorna, per quanto s'è visto in campo, e invece siamo qui a "morire" per una sconfitta del Varese. E lo faremo fino in fondo.

Andrea Confalonieri

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