Il Nazionale

Cronaca | 16 novembre 2021, 16:37

Si può convivere con il segreto di aver ucciso una persona? Ecco cosa insegna il cold case di Nada

“Qualcuno ha vissuto per anni come se niente fosse”, ha detto la mamma. Ma come è possibile nascondere un simile peso e perché?

Si può convivere con il segreto di aver ucciso una persona? Ecco cosa insegna il cold case di Nada

Qualcuno ha vissuto per venticinque anni come se niente fosse”. Nel suo dolore lacerante quanto dignitoso e composto, Silvana Smaniotto da un quarto di secolo si chiede chi e perché abbia ucciso sua figlia Nada Cella.

Partendo proprio da questo caso di cronaca che in questi giorni sembra aver avuto più svolte e colpi di scena di quando è accaduto l’omicidio, ci chiediamo come può una persona convivere con un peso così grande e pesante da portare, come quello di aver ucciso una persona? Come è possibile vivere magari tuta la vita portando dentro di sé questo segreto ma anche i sensi di colpa, i rimorsi, la sofferenza per ciò che si è fatto? Come è possibile crearsi una parvenza di normalità dopo un simile delitto, soprattutto se non si è un criminale?

Domande che affiorano pensando all’omicidio di Nada Cella, la giovane segretaria uccisa a Chiavari nello studio commercialistico dove lavorava.

Visto che il colpevole non è ancora stato assicurato alla giustizia, è normale pensare che chi ha tolto la vita a Nada abbia proseguito la sua di vita senza farsi angosciare dai rimorsi o dai sensi di colpa. A meno che non sia già morto senza essere scoperto - cosa improbabile secondo gli inquirenti - c’è una persona - un assassino - che dal 1996 convive con questo segreto.

Un assassino che non confessa ha una personalità complessa, con un disturbo narcisistico che lo porta a credere che le colpe non siano mai sue ma degli altri. Un disturbo che, tra le altre cose presuppone anche una mancanza di empatia, ossia una scarsa partecipazione emotiva nei confronti degli altri”, spiega lo psichiatra Enrico Zanalda, direttore del Dipartimento di Salute Mentale Asl Torino 3 e presidente della Società italiana di psichiatria.

Per questo è possibile convivere con un simile macigno, perché si crede di aver agito con la ragione e senza colpe. “Difficilmente un soggetto simile confessa, perché non è pentito per ciò che ha fatto - precisa il dottor Zanalda -. E se racconta la verità è solo per opportunismo, ossia perché confessare il delitto gli porta vantaggi. Inoltre è facile che se qualcuno, in maniera più o meno velata, gli chieda spiegazioni o gli parli anche solo dell’accaduto, abbia una reazione violenta. Ciò che questo soggetto vuole, è solo dimenticare, fare come se nulla fosse accaduto”.

E in caso contrario? Ossia se si viene accusati o anche solo sospettati per anni di un efferato delitto che non si è commesso?

“Naturalmente dipende sempre dal soggetto e dal contesto in cui vive - sottolinea lo psichiatra - ma difficilmente si riesce a superare una situazione simile e non è escluso che la persona accusata ingiustamente si tolga la vita”.

NaMur

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