Il Nazionale

Cronaca | 30 luglio 2021, 16:41

In Cassazione ultimo atto del processo alla banda che uccise l’orefice di Monteu Roero

La suprema corte chiamata a decidere sulla condanna a 18 anni di reclusione inflitta a Giancarlo Erbino, ritenuto l’ispiratore della rapina finita in tragedia all’alba del 9 giugno 2016

In Cassazione ultimo atto  del processo alla banda che  uccise l’orefice di Monteu Roero

Arriverà nel dicembre prossimo, con l’udienza fissata presso la prima sezione della Corte di Cassazione, l’ultimo atto della vicenda giudiziaria seguita all’omicidio di Patrizio Piatti, il gioielliere di Monteu Roero freddato nel garage della sua abitazione all’alba del 9 giugno 2015.

Con quell’udienza la suprema corte sarà chiamata a decidere sul ricorso presentato da Giancarlo Erbino, il gioielliere torinese accusato di essere l’ispiratore della rapina che - secondo quanto ritenuto finora dai giudici – degenerò nell’omicidio dell’orefice.

L’uomo – lo ricordiamo – venne colpito a morte da un colpo di pistola esploso durante l’assalto che il gruppo di malviventi aveva tentato ai suoi danni con l’intento di mettere le mani sul tesoro che – sempre in quelli che sarebbero stati i presupposti del piano criminale - la vittima avrebbe tenuto custodito all’interno della propria villetta nelle campagne della Sinistra Tanaro.

Il 1° dicembre 2020 la stessa Cassazione aveva dichiarato inammissibili i ricorsi presentati da tre degli altri quattro componenti della banda – Francesco Desi, Junior Giuseppe Nervo ed Emanuele Sfrecola –, confermando per loro la condanna per omicidio volontario arrivata in primo grado col rito abbreviato e pene che nel giugno dello stesso anno i giudici di appello avevano fissato rispettivamente a 16, 16 e 12 e anni di reclusione, insieme al pagamento delle spese processuali e alla refusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle parti civili, la moglie e la figlia della vittima, Maddalena Giotto ed Elisa Piatti, patrocinate dall’avvocato albese Roberto Ponzio.

Dodici anni di reclusione (rispetto ai 14 anni  e 4 mesi del primo grado) anche la pena decisa in appello per un quarto imputato, Salvatore Messina, che divenendo nel frattempo collaboratore di giustizia ha quindi rinunciato a ulteriori ricorsi.

Tramite gli avvocati torinesi Davide Richettta e Mauro Anetrini il quarto imputato, Giancarlo Erbino, che nell’affrontare il processo aveva scelto il rito ordinario, si oppone invece alla condanna che la Corte di Assise d’Appello di Torino (presidente il dottor Greco) gli aveva inflitto nell’ottobre 2019, confermando i 18 anni di reclusione inflittigli dal Tribunale di Asti l’8 maggio precedente (presidente il giudice Chinaglia), insieme a provvisionali immediatamente esecutive per 200mila euro a favore della moglie e per 150mila in favore della figlia della vittima. La corte torinese non aveva peraltro accolto l’abbassamento della pena a 13 anni chiesta dal procuratore generale per la concessione dell’attenuante prevista dall’articolo 116 del Codice Penale (reato diverso da quello voluto).

"Col giudizio di legittimità sulla condanna inflitta all’ultimo imputato si dovrebbe finalmente concludere una vicenda che aveva creato un preoccupante allarme sociale, in un territorio da sempre definito come un’isola felice e che ha dovuto invece fare i conti con un pericoloso episodio di infiltrazione malavitosa", commenta l’avvocato albese Roberto Ponzio, per il quale il volgere al termine dell’articolato procedimento offre anche uno spunto per intervenire sul vivace dibattito in corso sul tema della riforma Cartabia, della prescrizione e della durata dei processi nel nostro Paese: "In sei anni ci sono stati tre gradi di giudizio con un’istruttoria difficile e un mandato internazionale per catturare uno degli imputati, resosi latitante all’estero. Siamo quindi di fronte alla dimostrazione pratica che un processo può anche avere una ragionevole durata. Quando la giustizia arriva in tempi logici, i tempi ragionevoli ci sono e rendono superflua qualunque discussione sulla durata della prescrizione".

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