Avanti, anche se piano. Sono state circa 1.700 le attività commerciali di somministrazione che hanno sfruttato i primi giorni di via libera al take away a Torino, dopo il semaforo verde arrivato dalla Regione che aveva imposto una settimana di attesa in più rispetto al resto del Piemonte dopo l'emergenza Coronavirus.
In particolare, nella città della Mole (mentre in provincia il meccanismo era già partito nei giorni precedenti) le comunicazioni di apertura per l’asporto sono oltre 2000, per un comparto composto da bar, ristoranti, pasticcerie e gelaterie di oltre 4500 esercizi. Ma il movimento potrebbe crescere con il passare dei giorni, man mano che ci sarà maggiore chiarezza sui protocolli e le regole.
Lo dicono i numeri elaborati da Ascom Confcommercio ed Epat. Un dato vicino al 40% degli operatori, che hanno sperato di poter accedere ad una prima mini apertura dei loro locali. Ma percentuali leggermente inferiori ai dati i dati della provincia e della Regione. In ogni caso la Festa della mamma nelle pasticcerie ha toccato il 50% dei ricavi di una festa non in periodo di pandemia.
In particolare, hanno aperto 800 bar pari al 30%, 500 ristoranti pari al 40% e 400 negozi di pasticceria e gelateria pari all’80%. Ma le modalità dell’asporto hanno scoraggiato la categoria più numerosa - ovvero proprio i bar - che pur avendo ottenuto da parte della Regione la fascia oraria 6-21 non sono abituati all’attività dell’asporto rispetto al consumo sul posto e per i quali il vincolo della prenotazione obbligatoria, hanno registrato molte difficoltà.
Notevole seguito per i ristoranti soprattutto per quelli che già praticavano il delivery e che pertanto hanno sperimentato un recupero di organizzazione interna e possono proporsi con menu da asporto, da prenotare e consegnare con programmazione.
Adesioni importanti e speranze per le pasticcerie e gelaterie, che sconteranno le difficoltà della prenotazione che non rende possibile il cono gelato, con grande delusione per i bambini, ma solo l’asporto in vaschette e/o coppette, ma che provano a cimentarsi con le regole.
Si tratta per l’Epat di "uno spiraglio verso il vero obiettivo della riapertura dei locali, fatto più per rilucidare l’immagine di un locale, per riattivare la linfa vitale del lavoro, rispetto all’inedia di questi ultimi due mesi, senza guardare tanto al fatturato perché al di sotto del 10-15% del fatturato normale, possono affrontarsi alcuni costi con la liquidità ottenuta, ma non salvarsi dai costi generali. Soprattutto se si deve richiamare un dipendente dalla cassa integrazione con un costo di 60 euro in una sola mattina non ripagato neanche da 30 consumazioni medie di un bar. Ricordiamo che i dipendenti per cui è stata richiesta la cassa sono 22.000 nella provincia di Torino su 35.000, di cui il 60% in aziende sotto i 5 dipendenti".
"L’esigenza - sottolinea Claudio Ferraro, direttore Epat Torino - è quella di semplificare, eliminare la prenotazione, soprattutto se si dovrà contare a lungo sul delivery e sull’asporto per le misure di contenimento di cui si sente parlare, ad esempio 2 metri di distanziamento per i tavoli nei ristoranti, che si spera vivamente che non vengano praticati ponendo a rischio la riapertura stessa di almeno il 30% degli esercizi".
“La speranza degli operatori, anche visti i risultati dei primi giorni di sperimentazione dell’asporto è l’apertura dei locali il 18 maggio – aggiunge Alessandro Mautino, presidente Epat – secondo criteri di tutela ma anche di buon senso senza cadere in prescrizioni che rendano impossibile lo svolgimento dell’attività".
Anche se proprio in queste ore si rincorrono le voci che vogliono - proprio rispetto al 18 maggio - un'ulteriore dose di pazienza da parte degli esercenti di Torino e forse di tutto il Piemonte. Ma intanto la macchina è ripartita.
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