Renzo Raviol ha 72 anni, abita in borgata Caserme a Villar Perosa, ed è a casa da 15 giorni dopo essere stato dimesso dall’ospedale il 3 aprile scorso. Il 18 marzo era stato ricoverato per Covid-19, due giorni prima era toccato al figlio Stefano, assessore comunale, e prima ancora al cognato.
«I primi giorni ero rassegnato, mi mancava il respiro e mi sentivo soffocare – racconta Renzo –. Ero convinto che non ce l’avrei fatta, ma sono andato all’inferno, non c’era posto e sono tornato a casa».
Con questa immagine, il villarese racconta i giorni duri dell’ospedale. «Avevo la febbre da un paio di giorni prima del ricovero, ma dopo due o tre giorni mi è passata. Mi hanno messo la mascherina con l’ossigeno e avevo comunque difficoltà a respirare, non sentivo miglioramenti». Per tre settimane è stato nel letto e nutrito sostanzialmente a flebo, quel poco che mangiava, lo espelleva subito.
I dottori dell’ospedale civile di Pinerolo lo visitavano al mattino e le infermiere più esperte gli davano qualche dritta per rendere meno pesante il periodo a letto e in sostanziale isolamento, anche se in stanza erano in due.
«Mi hanno spostato due o tre volte di camera e per un paio di notti sono stato con il vescovo di Pinerolo – rivela –. L’ho riconosciuto quando mi ha detto il suo nome». Prima di venire intubato, il vescovo l’ha salutato con un pensiero felice: «Mi ha detto “speriamo di rivederci di fronte a una bottiglia di nebbiolo secco e con pane e salame”».
I giorni in ospedale sono stati duri, ma, dopo una settimana, Renzo si è accorto che stava andando meglio: «Ho capito che sarei guarito». Il 3 aprile lo hanno dimesso, perché negativo al tampone, ma l’hanno subito avvertito che la convalescenza a casa sarebbe stata ancora lunga: «Non è una semplice influenza. Sto ancora la maggior parte del giorno a letto e sono pieno di dolori». Dalle spalle alla cervicale, passando per le ginocchia: «Una notte ho chiamato mio figlio e gli ho detto che mi era scoppiato il ginocchio, dal dolore che sentivo». Poi fitte al cranio e la difficoltà a stare seduto per più di un tot di tempo.
«Io sono stato ricoverato dal 16 al 24 e sono tornato a casa per fare il periodo di isolamento, ma sono stato aiutato molto dalla gente della borgata» racconta Stefano. Un aiuto che è stato ancora maggiore quando a casa è tornato anche Renzo che con la moglie Mariuccia aveva un ristorante a Caserme: «È un bellissimo esempio di solidarietà, che si è fatto ancora più forte negli ultimi quindici giorni, perché mi hanno detto che dovevo aiutare mio padre e quindi ci portano anche da mangiare».
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