In 25 anni non aveva mai chiuso. C'è voluto il coronavirus per interrompere, ma solo momentaneamente, il servizio che l’Associazione Ambulatorio Internazionale Città Aperta (AAICA) ha sempre offerto ai migranti. Nell’ambulatorio, aperto ogni giorno dalle 16 alle 19, i 25 volontari effettuavano prestazioni di medicina di base per gli stranieri non regolari, che al medico di famiglia non hanno diritto. Perché tra gli “invisibili” a rischio, oltre ai senzatetto, ci sono anche loro.
“Abbiamo tenuto aperto fino a lunedì scorso, per un’ora alla settimana – spiega la presidente Caterina Pizzimenti – ma dopo una riunione molto sofferta, abbiamo deciso di chiudere per questo periodo di quarantena stretta, per la sicurezza dei pazienti, ma anche dei volontari”.
La sala d’aspetto dell’ambulatorio, che si trova in Vico del Duca, infatti, non è molto grande, e all’inizio dell’allarme Covid-19 “I volontari sottoponevano una specie di questionario ai pazienti prima di farli entrare, per capire che sintomi avessero: chi erano influenzato era dotato immediatamente di mascherina e fatto passare per primo, per non restare in mezzo agli altri, ma non abbiamo mai dovuto segnalare nessuno, erano tutte malattie da raffreddamento normale”.
Poi si è passati a un appuntamento di un’ora per tre volte alla settimana: “Una o due persone al massimo e con appuntamento orario, dal momento che le altre non potevano sostare fuori”. Ma alla fine, dopo le ultime visite di lunedì scorso, è arrivata la decisione di abbassare la saracinesca: “A parte camici e guanti, non abbiamo mascherine, per cui, anche se i volontari avrebbero voluto proseguire, il direttivo si è opposto, anche perché alcuni medici sono già in pensione e quindi hanno una certa età”.
Quello che si è fatto, però, è offrire un servizio telefonico: “I medici, come fanno quelli di famiglia, hanno messo a disposizione il proprio numero di cellulare, in modo che i pazienti possano richiedere la prescrizione dei farmaci o chiamare per emergenze”. E sulla saracinesca si trovano le disponibilità.
Restano, però, due problemi non da poco. Il primo è che queste persone “non sono accolte da nessuna parte – sottolinea Pizzimenti - non hanno niente, tranne noi”, il che significa che tutti i circa 1200 pazienti, che AAICA cura ogni anno, sono senza servizio sanitario e che quindi, in caso di bisogno, “l’unica possibilità che hanno è andare al pronto soccorso, dove, però, adesso non li prendono”.
A questo, poi, si deve aggiungere l’acquisto dei farmaci: “Noi facciamo le prescrizioni sul nostro ricettario, che sono trasformate dai medici trascrittori della Asl sul ricettario regionale: in questo momento funziona solo quella della Fiumara e se venisse chiuso anche questo punto, i pazienti dovrebbero comprare i farmaci, che finora non hanno acquistato in quanto indigenti”.
Senza contare che ci sono anche molti malati cronici, che hanno bisogno dei piani di cura, che non si possono fare senza ricetta regionale. E “noi non possiamo permetterci di comprare medicine per tutti, perché non abbiamo entrate, se non il 5 per mille e l’aiuto che ci offre il Circolo Autorità Portuale, con un piccolo fondo annuale, e perché la nostra politica è fare in modo che le persone usufruiscano di questo piccolo diritto di avere le ricette trascritte”.
La speranza, quindi, è che nel giro di poche settimane l’emergenza si alleggerisca e permetta la riapertura dell’ambulatorio, perché “così ci sentiamo inutili. Nel frattempo spero che ci telefonino, per poter dare loro supporto”, conclude la presidente di AAICA.
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