Moreno Longo non lo ammetterà neppure sotto tortura, tanta era la voglia e l’entusiasmo con cui ha accettato l’avventura granata, ma il Toro che gli è stato consegnato è un malato grave.
Pensare che potessero bastare quattro giorni di cure del nuovo medico, pardon allenatore, per far uscire dalla crisi una squadra che da un mese a questa parte sa solo perdere (spesso anche la faccia, oltre alle partite), era come pensare che potesse bastare un po’ di antibiotico per curare chi è alle prese con la polmonite. Questo Torino è una squadra che non ha un gioco, con molti interpreti sopravvalutati, che l’anno scorso erano andati oltre i loro limiti, con quel girone di ritorno a ritmo di Champions che aveva illuso tutti, in primis la società e il vecchio allenatore.
Quanto sia poi vera la storia che Mazzarri davvero volesse una rosa corta per non aver scontenti e musi lunghi da gestire nello spogliatoio non lo sapremo mai (o chissà quando). Il tecnico toscano è stato un perfetto aziendalista, nei suoi due anni in granata, accettando tutto quanto deciso dai dirigenti, senza avanzare mai richieste specifiche, o limitandole al massimo. Ed è stato fedele a questa linea anche al momento dell’addio, accettando una transazione per gli ultimi mesi di contratto rimasti, rinunciando a fare polemica o ad alzare i toni.
Mazzarri ha colpe evidenti per la pochezza che ha dimostrato la squadra in tutti questi mesi (di gioco, di grinta, di capacità di approcciare le partite), ma è stato lasciato spesso solo e di sicuro poco aiutato. La colpa più grave che gli si può affibiare è una preparazione atletica insufficiente, perché la partita contro la Samp ha dimostrato chiaramente che la squadra è andata in debito di ossigeno dopo 70 minuti. E non è stata l’unica volta in questo periodo.
Anche Longo ha ammesso questa difficoltà, un problema al quale non sarà facile porre rimedio in tempi rapidi, anche se finalmente il nuovo tecnico adesso avrà davanti a sé una settimana completa di allenamenti per approfondire la conoscenza della squadra e cominciare a porre dei correttivi alle magagne emerse nel corso della sua prima uscita sulla panchina granata.
Certo, quando le cose vanno male, vengono meno le sicurezze e la testa, che è quella che fa girare anche le gambe, se è annebbiata, diventa prigioniera della paura. Ed allora si spiegano, dopo una settantina di minuti quantomeno decorosi, il finale tragico contro la Sampdoria, con la squadra andata in tilt dopo aver subito la rete dell’1-1. L’emblema delle difficoltà di questo prolungato momento no del Toro è Armando Izzo, che oggi è la fotocopia ingaillita dello spietato marcatore che nella scorsa stagione aveva giustificato paragoni illustri con gente come Bruno e Policano, che si era meritato la convocazione in azzurro e che oggi perde spesso e volentieri la testa, come dimostrano i due cartellini rossi rimediati nelle ultime due gare casalinghe.
La rosa corta, unita ad una incredibile serie di infortuni, mette Longo nella condizione di avere pochi margini di manovra, con la scelta di non operare in entrata sul mercato di gennaio dalla società che oggi appare ancora più sbagliata. Per fortuna, è appena rientrato Ansaldi e a breve dovrebbe tornare abile anche Baselli: con questi due innesti un centrocampo poverissimo di qualità e di idee ne potrà trarre giovamento, perché già dalla prossima gara di San Siro contro il Milan il Toro deve interrompere la striscia negativa. Perché un anno fa a inizio marzo la Fiorentina stava messa come il Toro oggi e alla fine si è salvata solamente all’ultima giornata, dimenticando come si fa a vincere una partita, dopo una incredibile serie negativa.
La classifica è ancora sufficientemente tranquilla, ma sarà bene fare alla svelta quei 9-10 punti che servono. Prima che ci si debba guardare indietro con la paura di essere risucchiati dalle sabbie mobili della zona retrocessione.
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