Ad accorgersi del cadavere, due residenti di una villetta che si affaccia proprio sul giardinetto pubblico di via Giolitti, e che avevano immediatamente allertato i Carabinieri. Sin da subito non v’erano stati dubbi: si trattava di omicidio.
Una persona precisa, puntuale e abitudinaria. Che tutte le mattine usciva di casa, sempre alla stessa ora, per il suo giro di buon’ora in paese. L’itinerario era sempre lo stesso: il caffè al bar, l’acquisto del quotidiano in tabaccheria, le compere quotidiane.
Ma la mattina del 23 gennaio 2019 la sua routine è stata spezzata. Dopo essersi recata al “Bar del Corso” per la colazione, Anna non ha attraversato viale Mazzini per recarsi in tabaccheria, decidendo di fare subito ritorno a casa. Di fronte alla chiesa di San Rocco, a pochi metri dal condominio dove viveva, l’aggressione.
Probabilmente sorpresa alle spalle, Anna è poi stata trascinata nei “Giardini d’Annonay”. L’assassino, dopo aver adagiato il corpo della donna sul canale di scolo per le acque che corre sul perimetro della chiesa, le ha inferto con efferatezza diversi colpi al cranio.
Le indagini dei Carabinieri, coordinati dalla Procura della Repubblica di Cuneo, non avevano tralasciato alcuna pista: gli inquirenti avevano battuto a tappeto ogni pista, utilizzando i “vecchi metodi”, in quanto nella zona non erano possibili rilievi utilizzando - ad esempio - immagini dei sistemi di videosorveglianza.
Determinanti per incastrare l’omicida erano stati i filmati dei sistemi di videosorveglianza: i Carabinieri avevano acquisito le immagini di 15 telecamere private, che avevano permesso di ricostruire al minuto gli ultimi movimenti di vittima e sospettato, e quindi di smontare, momento per momento, le contraddizioni emerse nel corso del primo interrogatorio.
Nonostante il grande lavoro d’indagine (i Carabinieri avevano setacciato il paese, casa per casa, contattando anche tutti i proprietari dei cellulari che risultavano accesi al momento del delitto, nella zona di via Giolitti), non verrà mai ritrovata l’arma del delitto.
Ai magistrati Bianco confesserà di aver commesso il delitto con “una grossa chiave inglese” e non con un martello. Nei giorni immediatamente successivi al delitto, erano state impiegate unità cinofile, alla ricerca dell’arma. I cani molecolari avevano battuto anche la zona del ruscello che scorre alle spalle dei “Giardini d’Annonay”, perlustrato dai Carabinieri. Ma sia il giaccone arancione e nero, sia l’arma, non verranno mai trovati: i due oggetti sarebbero infatti stati abbandonati in un cassonetto della raccolta rifiuti, svuotato prima che i Carabinieri potessero recuperarli.
Ad inchiodare definitivamente Davide Ermanno Bianco erano stato il Dna della Piccato ritrovato nelle micro-tracce di sangue sulle scarpe e all’interno dello zainetto utilizzato durante l’omicidio. Le analisi erano state condotte dal dottor Paolo Garofano, responsabile dell’area biologica e della genetica forense del Centro regionale antidoping di Orbassano, mentre l’autopsia sul corpo della donna era stata affidata al medico legale Roberto Testi.
I magistrati, una volta acquisiti i risultati delle analisi, avevano nuovamente interrogato Bianco. “È come se avesse lasciato le sue impronte” aveva spiegato Onelio Dodero, procuratore capo di Cuneo. Messo con le spalle al muro, si era giunti ad una “confessione necessitata” dalle circostanze.
Bianco, inchiodato dagli elementi biologici, si era dimostrato “normale, se una normalità in questi casi esiste. – aveva detto Dodero – Quando commetti questi gravi crimini tendi a rimuoverli, un allontanamento dal fatto e un rientro in una condizione di apparente normalità”. La sua ammissione si era posta “a corollario del quadro indiziario, monolitico sin dai primi momenti delle indagini.
Un quadro formato da una serie di incongruenze riferite: la confessione ha fornito il riscontro a quanto avevamo precedentemente accertato”.
Resta ancora da chiarire il movente dell’omicidio. Bianco, dal carcere, aveva parlato di una rapina finita male. Nelle tasche della vittima i Carabinieri avevano però ritrovato 3 euro e 20 centesimi, presumibilmente il resto della colazione. E non si spiegherebbe nemmeno, l’efferatezza del crimine, che poco ha a che fare con una rapina finita male.
Bianco, dopo la perizia psichiatrica richiesta dalla difesa, è stato considerato capace di intendere e volere, ed in grado di affrontare il giudizio penale. Queste le conclusioni della consulente del gup Emanuela Dufour. Sarà giudicato con rito abbreviato, così come richiesto dall’avvocato difensore Davide Ambrassa, il prossimo 30 aprile.
Il processo potrebbe portare chiarezza anche sul movente dell’omicidio, che aveva scosso profondamente le comunità del territorio.
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